Con l’avvento di internet la discografia è arrivata ad un punto di non ritorno: mp3, downloading illegale, P2P sono ora le minacce più gravi per l’industria del disco, che rischia il collasso (a livello mondiale) per l’incapacità dei governi di tracciare dei limiti legali chiari attorno all’attività in rete. Leggi antipirateria, diminuzione dell’IVA, protezione dei diritti d’autore sono oggi in Italia le istanze più impellenti di produttori e artisti. Ma basterà tutto questo a salvare la (buona) musica?
The Promised Land (Ouverture). La finale del Festivalbar all’Arena di Verona ha offerto un’ottima occasione a discografici e addetti ai lavori per un incontro aperto con il mondo politico, rappresentato per l’occasione da Maurizio Gasparri (Ministro delle Comunicazioni) e da Nicola Bono (Sottosegretario al Ministero per i Beni e le Attività Culturali). La discografia è rappresentata invece da Enzo Mazza (direttore Federazione Industria Musicale Italiana), Caterina Caselli (Amministratore delegato Sugar), Mogol, Manlio Mallia (SIAE), Claudia Mori (Amministratore delegato Clan) e diversi rappresentanti di associazioni di categoria (autori, editori) e del mondo informatico (Telecom, Wind, Microsoft). In sintesi, il lungo confronto ha visto emergere le seguenti problematiche fondamentali:
1. La mancanza in Italia di una legislazione efficace riguardo le attività illegali legate al mondo della discografia, dalla vendita di cd pirata all’IVA troppo alta sul disco (che è del 20%, contro il 4% del libro, poiché giuridicamente il disco viene definito bene di lusso e non bene culturale). In questo senso l’On. Bono ha tracciato un quadro abbastanza chiaro sul lavoro svolto dal Governo e dal Parlamento finora, assumendo una posizione di difesa del tanto contestato ‘decreto Urbani’. Per la questione dell’IVA il problema non riguarda solo l’Italia e deve essere risolto in sede europea, vincendo le resistenze della Gran Bretagna che, con un atteggiamento protezionista nei confronti del proprio mercato discografico, frena ogni provvedimento sulla questione.
2. Enzo Mazza pone l’accento sul fatto che le alternative all’uso illegale di internet (piattaforme di vendita di musica digitale come I-Tunes) stanno dimostrando che l’ascoltatore è sempre più interessato all’utilizzo di servizi legali. A dimostrazione di questo fenomeno, pensiamo al mercato delle suonerie, che è nato come legalizzato e gode di ottima salute. Ad ogni modo, in Italia la pirateria musicale rappresenta ancora il 25% del mercato, la percentuale più alta d’Europa.
3. Artisti e produttori non sono contrari all’avvento delle nuove tecnologie, ma deve essere garantita la tutela della creatività, che permette all’artista e ai suoi collaboratori di lavorare.
4. Necessità di una educazione dell’ascoltatore (specialmente dei più giovani), che porti ad una maggiore consapevolezza del concetto di illegalità e di diritto d’autore. Mallia afferma che “la musica è di chi la ama, che deve contribuire per dovere etico alla sua sopravvivenza”. In questo senso, anche la stampa è chiamata ad assumersi il compito di educare alla fruizione musicale.
Talkin’ About A Revolution (Qualche considerazione a margine). Tra tutte le questioni emerse (niente di nuovo sotto il sole, per la verità), l’ultimo punto sembra quello più interessante – ed è stato quello, naturalmente, che ha ricevuto meno attenzione nel dibattito. Nella quasi completa assenza di una educazione musicale nella scuola dell’obbligo italiana (a questo convegno avrebbero dovuto invitare la Moratti piuttosto che Gasparri), l’ascoltatore medio fatica a riconoscere nella musica un bene culturale e, molto spesso, l’unica funzione ad essa attribuita è quella di semplice intrattenimento, o sottofondo, o complemento ad un altro prodotto di consumo (vedi le suonerie per i cellulari). Il ragionamento è: “Se la canzonetta che mi piace è un capriccio stagionale come qualsiasi altro oggetto di consumo, perché devo spendere 18-20-22 euro per comprare il cd? Preferisco scaricarlo gratuitamente da internet.” Uno degli aspetti cruciali del problema è che la maggior parte della musica che sentiamo per radio o TV non vale il prezzo del suo supporto, e non vale neppure l’impegno volenteroso di questo convegno. Mazza conclude il suo intervento con un pensiero interessante: “L’impegno dei discografici deve tornare ad essere quello di produrre buoni dischi, e lasciare perdere distribuzione e commercio. Bisogna tornale al valore originario della produzione discografica”, che è quello di cercare e valorizzare i veri talenti. Perché la vera Musica (che sia popolare o colta) non è una borsetta alla moda, ma un’esperienza di vita e di crescita, e quando un disco ‘ti cambia la vita’, siamo disposti a pagare per averlo.
I Had A Dream (De-cadenza e fine). Valutando le potenzialità di internet e delle nuove tecnologie, stiamo già assistendo a dei profondi cambiamenti, e il futuro dell’industria discografica si apre su uno scenario apocalittico: con internet il rapporto tra artista e ascoltatore diventa diretto, ogni musicista può offrire la sua musica (gratis o a pagamento) e dialogare con il pubblico senza bisogno di intermediari. Discografici, produttori, uffici stampa diventeranno perciò inutili. Una volta crollato il sistema del music business – che attualmente si trova nelle mani di 5 multinazionali, ma presto diventeranno solo 3 o 4, alla faccia dell’antitrust – anche i giornalisti musicali finalmente faranno il loro lavoro, cioè quello di mettere a disposizione la loro conoscenza e professionalità per una ‘guida all’ascolto’ senza vizi di sostanza (inviti, favori, amicizie interessate, regalini e regaloni) che niente hanno a che fare con la Musica.