In una fredda domenica autunnale, arrivano a Treviso i sedicenti “extreme power metaller” Dragonforce: giunti col recente “Inhuman Rampage” al terzo album e considerati ormai una realtà consolidata del panorama heavy, riprendono tante cose già dette dagli epigoni del genere e le ripetono… molto più velocemente. Che fiato, ma non si mangeranno le parole?
È sempre più difficile emergere in un genere, e in un mercato, affollatissimo e per molti versi saturo come quello dell’heavy metal classico: c’è chi si sforza di trovare soluzioni nuove con alterne fortune e chi prende le chiavi del successo passato e le rigira con ancora maggior forza. I Dragonforce hanno una sempre più nutrita schiera di fan che si esalta per le loro melodie epiche e positive, e soprattutto per la loro velocità, è il caso di dirlo, estrema. Niente di nuovo sotto il sole, quindi, ma la strada dell’”esagerazione”, perseguita e ammessa da Herman Li e soci, dà i suoi frutti.
L’esibizione dei nostri è preceduta dai Firewind, solida band power capitanata dall’ottimo chitarrista Gus G., tra le cui fila milita anche il batterista Mark Cross, ex-Metalium e con una breve (e poco fortunata) esperienza nei blasonati Helloween: sfruttano al meglio i quaranta minuti a loro disposizione, scaldando il già discretamente numeroso pubblico presente al New Age di Roncade con ritmiche heavy e ritornelli melodici. Il concerto dei Dragonforce si apre senza ulteriori preamboli: gli headliner presentano brani dal nuovo album e ne ripassano altri da Valley of the damned e Sonic Firestorm: ritornelli-inni, tempi velocissimi e tripudi di assoli a volte poco intelligibili, che annoierebbero i meno avvezzi al genere ma che esaltano le nuove leve dell’heavy metal classico presenti nel club. La sarabanda di suono prodotta è interrotta dai siparietti tra i membri della band, spesso scarsamente comprensibili, e dall’incitamento del pubblico da parte del cantante ZP Theart, frontman di carisma. L’impatto visivo dei Dragonforce è notevole, tale è la carica e il funambolismo dei sei, spesso e volentieri oltre i limiti del pacchiano ma per questo divertente. C’è spazio per un esilarante assolo del tastierista Vadim Pruzhanov, che si destreggia tra tasti bianchi, tasti neri, salti e mimiche facciali, tutto ammiccando continuamente il pubblico divertito. I pezzi eseguiti sono poco importanti, vista anche l’omogeneità che li caratterizza; tuttavia, sono i ritornelli più riusciti, come quello di Spirit will go on, a scatenare maggiormente urla e braccia alzate: dall’ultimo Inhuman Rampage, le canzoni più apprezzate sono l’opener Through the fire and flames e le incalzanti (per usare un eufemismo) Revelation Deathsquad e Storming the burning fields. Il concerto si chiude con una delle loro canzoni più riuscite, che rappresenta il “piccolo classico” della band, Valley of the damned: il gran finale conclude coerentemente, con i componenti a suonare gli strumenti degli altri tra gli applausi e gli incitamenti del pubblico, estasiato dalla tecnica dei sei.
Già, tecnica. E poi? Totale rinuncia alle idee innovative, tanto divertimento e un discreto gusto per la melodia. Quello che piace agli uni, disgusta gli altri, che preferirebbero meno funambolismo e una proposta musicale più personale. Ai Dragonforce il merito indiscutibile di soddisfare i primi.
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