Londra – In occasione delle Olimpiadi sul Bankside vanno in scena i pezzi migliori dell’ex enfant terrible dell’arte britannica ora in crisi d’ispirazione.
Da enfant terrible a superstar nel mondo dell’arte
Oltre a rappresentare uno degli artisti viventi di maggior successo, la vicenda artistica di Damien Hirst riflette un periodo di radicale rinnovamento che nel corso degli anni Novanta ha saputo traghettare l’arte britannica al centro dell’attenzione internazionale. Ancora studente al Goldsmiths College nel 1988, ispirato dai capolavori di Jeff Koons esposti alla galleria del magnate londinese Charles Saatchi, decise assieme ad alcuni amici di promuovere Freeze, la prima mostra in un edificio abbandonato al porto della capitale. La sua intraprendenza e profonda consapevolezza dei meccanismi nel sistema dell’arte fecero emergere un’intera generazione di nuovi artisti appena ventenni e destinati a conquistare il palcoscenico mondiale, i cosiddetti Young British Artists.
Gli esordi esplosivi e shockanti
Oltre la metà delle dodici sale espositive sono dedicate proprio alle opere con cui il giovane artista di Leeds si fece notare nell’ambiente londinese nei primi anni Novanta e che non venivano più esposte da allora, trattandosi in certi casi di complesse installazioni ambientali. La prima stanza custodisce i lavori esposti a Freeze, tutti giocati sull’utilizzo di colori industriali applicati a varie superfici, quali pentolame e scatole. Emerge da subito la grande ironia che pervade l’arte di Hirst, come nel fon capovolto che mantiene a mezz’aria una pallina da ping pong. Poi ci si scontra con la sequela di animali, vivi e morti, che riempiono vetrine dall’aspetto minimalista in un costante richiamo alla caducità della vita: A Thousand Years con le mosche attirate da una testa di mucca in putrefazione e stecchite da un fornelletto; la doppia versione di Away from the Flock, la pecorella nera e quella bianca in formalina catturate nell’attimo di saltare; The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, ossia il grande squalo tigre in vasca; infine, numerose opere con farfalle, da quelle incollate sulle tele a quelle composte in immense vetrate. Le restanti sale esibiscono invece la vena collezionistica di Hirst con pareti intere ricoperte di vetrinette, in cui sono allineati maniacalmente arnesi da infermeria, pillole e scatole di medicinali, mozziconi e diamanti. Fungono da corollario i celebri spot painting, i punti colorati disposti simmetricamente sulla tela.
L’emozione del minimalismo e la fine delle idee
La mostra alla Tate effettua una buona ricognizione delle maggiori idee avute dall’enfant terrible nel corso della sua carriera e mette in esposizione un pezzo di storia recente dell’arte contemporanea. Colpisce la capacità di Hirst di presentare opere dal sapore squisitamente minimalista, con estrema attenzione per la loro installazione ambientale, eppure capaci di catturare emotivamente lo spettatore. Appare da subito l’importanza del titolo, spesso ironico e interminabile, che diventa estensione stessa dell’opera e necessario alla sua comprensione. La visione del grande predatore marino ormai impossibilitato a nuocere o di Mother and Child Divided, una mucca con vitello separati e dimezzati, arrestano il fluire del tempo mettendo violentemente di fronte all’insensatezza dell’esistenza. L’emozione più forte la dona In and Out of Love, una stanza piena di farfalle tropicali che svolazzano fra i visitatori incuriositi e conducono la loro breve vita sotto gli sguardi fugaci del pubblico. La visita delle dodici sale rende evidenti le ragioni dell’immenso successo di Hirst, ma fotografano anche la sua crisi d’ispirazione, dimostrando che le migliori idee le ha sapute produrre negli anni Novanta: il resto è solo la ripetizione d’un marchio ormai celebre.
Damien Hirst | curata da Damien Hirst
Tate Modern, Londra – 04/04 e 09/09/2012