Premio Abbiati come miglior spettacolo del 1999, l’allestimento di Pier Luigi Pizzi del Carlo Felice di Genova è ripreso in questi giorni alla Fenice di Venezia
Per l’ultima volta il Grande, Gustav von Aschenbach, ha ammirato, ricambiato il suo Tadzio. L’artista e l’uomo, consapevoli, hanno ceduto il passo uniti all’unica linfa vitale che fino a quel momento li aveva sorretti. La morte, che è la fine, c’è, ma non assume un tratto volutamente drammatico.
Aschenbach, incontentabile verso se stesso come uomo e verso i propri mezzi artistici, ha assunto la consapevolezza di poter rimanere in un futuro non solo prossimo, e questo è per egli stesso motivo di quella gioia di vita profonda ricercata ossessivamente per tutta la sua esistenza e che lo porta ad innamorarsi di un giovane, che non è altro che la rappresentazione dell’eroe, personaggio dei suoi lavori, parte quindi di un io coscientemente accettato.
Pier Luigi Pizzi che sembra aver colto ogni singolo aspetto sia della visione di Myfanwy Piper che dell’illustre antecedente letterario, ha prodotto uno spettacolo unico per assimilazione di citazioni letterarie e visive, per squisita raffinatezza nei costumi e per una sopraffina perspicacia interpretativa dei due personaggi in scena, a cui si aggiungono i bellissimi movimenti coreografici di Gheorghe Iancu.
Come ha confidato lo stesso Pizzi, l’idea che tiene unita la regia è il ricordo verso luoghi reali ed immaginari a cui egli stesso, negli anni Quaranta, in cui si ambienta la vicenda, è legato da un affetto che ‘deforma situazioni sedimentate nella memoria’. Il male in questo caso non è il colera ma la guerra imminente. La nebbia che avvolge buona parte dei luoghi, i cipressi che fanno da sfondo anche alle Procuratie di Piazza San Marco sono presagi di un’elevazione finale, di un’autoesaltazione che si esplica in tutta la sua forza dionisiaca in contrasto con quel Bello ideale, quella compostezza artistica che trasfigura la bellezza fisica del giovane innamorato.
Concertazione e interpretazione vanno di pari passo. Bruno Bartoletti fonde e sublima magnificamente il gusto di Britten per tensione ed emotività, mentre i due protagonisti, Marlin Miller, Aschenbach e Scott Hendricks sono insuperabili per una drammatica e trepidante armonia, tanto da far sentire la tensione in sala fino all’esplosione liberatrice degli applausi.
Death in Venice (Morte a Venezia), opera in due atti di Myfanwy Piper – musica di Benjamin Britten
Direttore: Bruno Bartoletti – Regia, scene e costumi: Pier Luigi Pizzi – Coreografia: Gheorghe Iancu
Personaggi e Interpreti:
Gustav von Aschenbach: Marlin MillerIl viaggiatore / Il bellimbusto attempato / Il vecchio gondoliere / Il direttore dell’albergo / Il barbiere dell’albergo / Il capo dei suonatori ambulanti / La voce di Dioniso: Scott Hendricks
La voce di Apollo: Razek-François Bitar
Tadzio: Alessandro Riga
Jaschiu: Danilo Palmieri
La venditrice di fragole / La giornalaia: Sabrina Vianello
La merlettaia / Una suonatrice ambulante: Liesbeth Devos
La mendicante: Julie Mellor
Il facchino dell’albergo / Il vetraio: Marco Voleri
Un gondoliere / Un suonatore ambulante: Shi Yijie
Il cameriere della nave / Il cameriere dell’albergo / La guida turistica: William Corrò
Il barcaiolo del Lido / Un cameriere di ristorante / Un gondoliere / Un prete / L’impiegato inglese dell’agenzia di viaggio: Luca Dall’Amico
durata dello spettacolo: 2 ore e 55 min.
www.teatrolafenice.it