Diana Ferrantini, ovvero quando la passione per il teatro diventa un mestiere attrice del Teatro del Lemming

Intervista alla giovane attrice veneziana

L’incontro con il teatro grazie ad un laboratorio organizzato dal liceo che frequentava

Diana Ferrantini è una giovane attrice veneziana. Dopo il diploma conseguito presso il Liceo Giordano Bruno di Mestre si iscrive all’università Ca’ Foscari laureandosi in Tecniche dello spettacollo e successivamente in Scienze dello spettacolo con il massimo dei voti.
Dal 2005 lavora stabilmente con la compagnia Teatro del Lemming partecipando a tutti i laboratori e alle produzioni del gruppo.
Il Teatro del Lemming si forma a Rovigo nel 1987 dall’incontro fra il regista e compositore Massimo Munaro e lo scenografo e regista Martino Ferrari. La compagnia, riconosciuta e finanziata dal 1997 dal Ministero dei Beni Culturali, ha partecipato con successo a importanti festival italiani ed europei. Fin dai primi spettacoli, sino al recupero del mito e alle radicali e originali esperienze di teatro delle sensazioni nella Tetralogia degli anni Novanta, giungendo infine alla ricerca attorno al problema dell’attualizzazione di una comunità con Nekyia e Il rovescio e Il Dritto e investigando negli ultimi due lavori (Antigone e Amleto) il rapporto tra potere e individuo all’interno di una società, il Teatro del Lemming persegue con coerenza estrema un Teatro in grado di ridefinire il ruolo dello spettatore all’interno dell’evento scenico.

Prima di tutto vorrei chiederti come e quando é nata la tua passione per il teatro.

Ho iniziato a fare teatro al Liceo, partecipando ad un laboratorio per studenti delle scuole superiori tenuto dal Teatro del Lemming presso il Teatro del Parco di Mestre. Il laboratorio era guidato da Massimo Munaro, regista della compagnia e da Fiorella Tommasini, attrice storica del gruppo. Il metodo di lavoro da loro proposto partiva dai cinque sensi dell’attore: il corpo e la sensorialità erano i mezzi per relazionarsi con i compagni, per esplorare lo spazio, per aprire le porte dell’immaginario, per lasciarsi abitare dalle figure mitiche (Orfeo ed Euridice, Amore e Psiche, Dante e Beatrice…). Il lavoro mi colpì fin da subito per la sua capacità estrema nel riuscire a creare una fortissima dimensione di gruppo, per l’intensità disarmante con cui permetteva di relazionarsi a degli sconosciuti come se fossero “compagni da sempre”, per la sua dimensione sospesa, sacrale e fortemente rituale. 
 
Qual è stata la tua formazione?

Dopo quella esperienza, ho deciso di continuare a seguire il lavoro del Lemming, partecipando ad altri laboratori tenuti dalla compagnia. Ho provato a frequentare anche altri corsi e laboratori di teatro, ma non ho mai ritrovato la stessa forza e radicalità che incontravo sempre nel modo di lavorare del Teatro del Lemming. Non si tratta di una questione di meriti, semplicemente di modi diversi di intendere la scena che io ho sentito a me meno affini. Sotto la parola “Teatro”, infatti, rientrano una miriade di modi diversi di approcciarsi alla scena, di indagare la contemporaneità, di intendere la relazione con gli spettatori, di lavorare sull’attore, ecc… Purtroppo nell’immaginario comune alla parola Teatro corrisponde solamente il teatro di tradizione, in cui degli attori in costume recitano le battute di un dramma, di una commedia, di una tragedia. Nella realtà, accanto a questo tipo di teatro, esiste il cosiddetto “teatro di ricerca”, volto ad indagare sulle problematiche del contemporaneo, a destrutturare il linguaggio teatrale classico cercando di volta in volta soluzioni ed alternative diverse alla messa in scena.

 
Con quale compagnia lavori attualmente? Con quali altre hai lavorato in passato?

Ho sempre lavorato con il Teatro del Lemming

 
Come sono strutturate le prove? Che tipo di spettacoli privilegiate? Qual è lo spettacolo a cui state lavorando?

Il lavoro con il Lemming è un lavoro di continua ricerca; le prove sono quindi strutturate secondo lunghe sessioni laboratoriali.
La peculiarità del lavoro del Lemming consiste nel coinvolgimento drammaturgico e sensoriale degli spettatori. Secondo la compagnia, il teatro, per avere un senso oggi, deve affrancarsi dalla pretesa mediatica di rivolgersi ad un pubblico indifferenziato e recuperare un rapporto diretto e personale con ciascuno spettatore partecipante. Il teatro, di conseguenza, deve rendere lo spettatore finalmente partecipe e soggetto drammaturgico di un’esperienza, opponendosi alla vita quotidiana, che sembra relegarlo ormai ad una totale passività voyeuristica. In quest’ultimo periodo la compagnia è impegnata in due nuove produzioni: Sogno dentro sogno e Giulietta e Romeo. 
Sogno dentro sogno è un’opera lirica inedita e inusuale rispetto al tradizionale repertorio teatrale e lirico. Il lavoro, infatti, vuole costituirsi come occasione di rinnovamento del linguaggio teatrale e della forma operistica, sia dal punto di vista musicale che teatrale, costituendosi come un inedito intreccio di linguaggi. Anche dal punto di vista tematico, il lavoro vuole imporsi come profondamente attuale rispetto alle problematiche della contemporaneità, andando a indagare attorno a temi come la dispersione dell’io, la perdita d’identità all’interno di un sistema d’azione complesso, l’incertezza nei confronti della realtà, l’ambiguità delle relazioni umane.
Giulietta e Romeo, invece, consiste in una riscrittura scenica della nota tragedia di Shakespeare. Lo spettacolo sarà pensato soprattutto per il pubblico delle scuole superiori.

 
Fra i vari personaggi che hai interpretato, ce n’è uno che hai amato in modo particolare?

Credo che uno degli aspetti più interessanti del fare teatro sia la possibilità di lasciarsi abitare da personaggi diversi e di entrare in relazione con differenti aspetti dell’anima, alcuni a noi più vicini ed affini, altri più remoti ed oscuri. Usando le parole di Pessoa, direi che il bello per un attore è avere la possibilità di “sentire tutto in tutte le maniere”.
 

Cosa provi quando si alza il sipario?

L’inizio di uno spettacolo è indubbiamente un momento carico di eccitazione e tensione. Una delle peculiarità più dense di fascino dell’evento teatrale è che esso è irripetibile: accade in un hic et nunc ben preciso in cui ci si deve giocare il tutto per tutto. A teatro non si ha mai una seconda possibilità, poiché ogni replica di uno spettacolo sarà sempre diversa dalla precedente e prevederà l’incontro con spettatori sempre diversi. E il compito dell’attore è sempre quello di guidare lo spettatore nell’altrove del teatro. Ecco allora che l’inizio di uno spettacolo è sempre un momento di grande responsabilità per un attore, perché, citando Artaud, “Lo spettatore che viene da noi sa di venire a sottoporsi a un’operazione vera, dove sono in gioco non solo il suo spirito ma i suoi sensi e la sua carne. Andrà ormai a teatro come dal chirurgo o dal dentista. Con lo stesso stato d’animo, pensando evidentemente di non morire per questo, ma che è una cosa grave e che non ne uscirà integro”
 

Ti piacerebbe lavorare nel mondo del cinema?

Non ho mai pensato di lavorare per il cinema, poiché nel cinema manca un elemento essenziale del teatro: lo spettatore, con il suo corpo, con le sue reazioni. Il cinema differisce la relazione, la relativizza ed elimina la possibilità dell’incontro. Con questo non intendo sminuire il linguaggio cinematografico, ma penso semplicemente che esso utilizzi altri mezzi e muova altre corde rispetto al lavoro teatrale.