“Dopo la battaglia” di Pippo Delbono

Viene il coraggio e dopo il coraggio viene la pace

uscire da teatro (e dalla scena dell’oggi) o restare, accettare di vedere lo scempio e trovare una possibile reazione. Il nuovo spettacolo di Pippo Del Bono in scena a Padova, Teatro Verdi, fino all’8 maggio

Accettare “il selvaggio dolore dell’essere uomini” è ciò che le madri dovrebbero insegnare ai figli, non l’essere servi di un padrone che è fuori e di altri, l’ego, la paura, che sono dentro di noi. “State naufragando”. Stiamo naufragando.

“Dopo la battaglia”, il nuovo spettacolo di Pippo Delbono è come gli altri una tappa del suo percorso umano e sembra una transizione che parte con una valigia strapiena di esperienze del passato, anche recente. Sembra un trasloco, più che un viaggio. Ma verso dove ancora bene non si sa.
Lo spettacolo mette lo spettatore di fronte alla distruzione, al “profondo abisso”, alla “lunga notte” che vive l’Italia dei centocinquant’anni di Unità, la stessa “lunga notte” di un mondo che dalla paura è diviso, squarciato, paralizzato, reso violento e imprigionato. C’è la prigione, la galera, la gabbia, c’è il manicomio e la follia, c’è la fame, la violenza, l’ego dei politici, il vuoto delle parole che slegate dalla vita non hanno più senso di essere.

C’è tutto, sin troppo, nello spettacolo e nella battaglia. C’è Pippo Delbono che parla, anche con gli spettatori, li vuole incontrare, e anche Delbono che incontra il linguaggio del video, documentario, talvolta didascalico, a volte primo in scena, a volte gioco, senza preoccupazione alcuna di coerenza. E c’è la battaglia e c’è il dopo: c’è la battaglia dell’uomo contro Dio come dogma imposto che porta l’uomo lontano dalla fiducia in se stesso, la battaglia contro la madre che nutre e contemporaneamente, stimolando le corde sbagliate, uccide nel figlio la sua forza naturale – la forza di essere uomo, ci sono tante battaglie, le lotte dentro un sistema sociale fragile e contradditorio, pieno di falle.
C’è la protesta contro il sistema culturale italiano, i tagli al Fus, c’è l’Opera perché non ci sono soldi per fare la lirica, c’è il balletto perché “Pippo Delbono non fa il balletto”, e allora c’è persino l’étoile de l’Opera di Parigi, c’è il violino, la musica, la poesia. La protesta contro l’ipnosi collettiva in cui sembriamo vivere.

Anche Delbono finisce dunque a parlare del caos con il caos, forse cadendo nel tranello di un eccessivo autocitazionismo, che talvolta annoia e costringe in uno spazio troppo ristretto il suo istinto alla rivoluzione.
Ed è nella soluzione che lui stesso suggerisce, quando tutto sembra perduto, “danza”, che vale come un “vivi”, accetta persino questo abisso, che poi qualcosa ancora succederà, che troviamo le incursioni nel suo inconfondibile segno teatrale e la sua maggiore forza, quella che commuove, quella che rende il piccolo gesto contemporaneamente tuo ed universale.

Dopo la battaglia c’è un lungo percorso, che attraversa la rabbia, la trasforma in coraggio e ci permette di giungere alla pace. E tanti omaggi, dopo la battaglia, l’omaggio all’amica Pina Bausch e al suo rimettersi continuamente in discussione, ad Alda Merini, Eliot, Whitman, Rimbaud, a chi ha avuto la lucidità di vedere la follia della società d’oggi ancor prima che si manifestasse, a chi lotta per l’abbrivio e ama la vita, nonostante tutto. E a Bobò, “piccolo grande uomo che ha passato 50 anni in manicomio” e che, lui, sordomuto, analfabeta, nella più buia notte di Pippo Delbono ha potuto a tal punto intervenire da cambiargliela completamente la vita, da salvargliela.
C’è un teatro distrutto, mescolato al talk show, alla televisione, interrotto da continui ingressi che rendono la scena quasi infinita, non si capisce chi viene a salvare chi e che cosa, in un continuo cambio scena quasi pulp, e quando arriva – talvolta per pochi attimi, talvolta per intere scene – c’è il grande teatro di Pippo, quello che non fa sentire la mancanza di nulla e ti fa piangere e ringraziare la vita.

C’è chi è uscito di sala dopo mezzora, chi dopo un’ora, chi è rimasto e ha pianto.
E c’è un autore che sembra al bivio tra fissare un’idea di sé e rimettere di nuovo tutto in discussione.

PIPPO DELBONO
DOPO LA BATTAGLIA
con: Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Raffaella Banchelli, Bobò, Julia Morawietz, Lucia Della Ferrera, Ilaria Distante, Marie-Agnès Gillo, Gustavo Giacosa, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Marigia Maggipinto, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Pepe Robledo, Pippo Delbono
e con la partecipazione del violinista Alexander Balanescu
Scene Claude Santerre, costumi Antonella Cannarozzi, musiche originali Alexander Balanescu, luci Robert John Resteghini, regia Pippo Delbono
prodotto da Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro di Roma, Théàtre du Rond Point- Parigi e Théàtre de la Place – Liegi in collaborazione con Teatro Pubblico Pugliese e Cinémathèque Suisse.
Sei le repliche al Teatro Verdi di Padova da martedì 3 a sabato 7 maggio alle 20.45 e domenica 8 alle 16
www.teatrostabileveneto.it