“Dovevate rimanere a casa, coglioni” allo Spazio Tertulliano

I testi di Rodrigo García sono in genere considerati tutt’uno con le sue regie. Sì, è vero che questi testi sono stati pubblicati e sono stati portati in scena anche da altri registi. Tuttavia, è solo nell’invenzione scenica del loro creatore che sembrano trovare la loro vera dimensione. Lo stesso García, nel libro Cendres 2000-2009, ha scritto che “i testi pubblicati sono riuniti come dei resti delle mie creazioni teatrali. La letteratura non è che una parte, nient’altro che una parte delle mie pièces per il teatro e le parole, dissociate da ciò che avviene sulla scena, si ritrovano irrimediabilmente impoverite”.

Jurij Ferrini si è accostato a Dovevate rimanere a casa, coglioni (Fallait rester chez vous, têtes de nœud), di cui ha utilizzato due delle cinque parti (Credo che mi abbiate frainteso e Coglione tu, coglione io), in modo diverso. Secondo quanto ha dichiarato, “Rodrigo García viene in genere associato a un teatro performativo e forse si tratta anche di una associazione appropriata perché da quel teatro lui proviene. Però ritengo che i suoi testi possano funzionare benissimo ormai anche come teatro classico, comico e di matrice pop. Il teatro di García arriva a chiunque lo voglia davvero ascoltare. Per questo il lavoro che svolgo normalmente sulla ‘parola scritta per essere detta’ può enormemente giovare a questo autore così vivace e fantasioso, senza sottrargli un grammo di irriverenza”.

Verrebbe da dire che, concentrandosi sulla parola e spogliando completamente la scena, Ferrini finisca quasi per far assomigliare i due testi ai monologhi di un cabarettista. Il paragone potrebbe suonare improprio, ma l’associazione – anche se gli abiti dell’attrice e, in gran parte, la sua gestualità si discostano dalle abitudini del “genere” – ci sembra evidente: certe battute (quella sul sesso di Rin Tin Tin nel primo pezzo o quella sulla pizza al doppio formaggio nel secondo) potrebbero essere riprese pari pari anche all’interno dello spettacolo di un cabarettista. L’accostamento, però, va a questo punto precisato. Il cabaret, per come viene di solito praticato da noi, è sempre o quasi sempre una forma di spettacolo conciliante, che dà voce al “senso comune” e lo rafforza. In questo caso, al contrario, si tratta semmai di un cabaret che si rivolge al pubblico a partire da un punto di vista molto radicale sulla società – la competizione che la regola, l’organizzazione su cui è imperniata, i riti e le gerarchie intorno a cui funziona – e sulla vita. I due testi aggrediscono la struttura logica del discorso quotidiano. Continuamente deviati da digressioni, incisi e accostamenti inattesi e paradossali, i due monologhi sono solo in apparenza divaganti: in realtà sono guidati da una logica ferrea e mirano non solo a far emergere il “non detto” che ci circonda, le invisibili costrizioni che limitano – proprio perché invisibili e “non dette” – la libertà di ciascuno, ma anche a minare alla radice i miraggi di utopiche liberazioni.

Il risultato di un simile approccio – nei due monologhi che vediamo portati in scena da Rebecca Rossetti – può forse deludere gli estimatori più radicali di García, che non vi troveranno il carattere provocatorio e dirompente delle sue messe in scena e considereranno che in questo modo Garcia venga “normalizzato” e depotenziato. Per quel che mi riguarda, pur trovando poco incisiva la scelta delle musiche o del costume di scena, mi è sembrato invece un lavoro interessante, proprio perché, puntando sulla “parola scritta per essere detta”, obbliga a trovare nell’opera di García qualità meno “evidenti” delle sue “provocazioni” registiche su cui si concentrano abitualmente le aspettative del pubblico.

“Dovevate rimanere a casa coglioni” di Rodrigo García
Regia di Jurij Ferrini
Con Rebecca Rossetti
Produzione U.R.T.
Visto allo Spazio Tertulliano il 12 dicembre 2015