Orizzonti
Aicha, Radia e la loro madre vivono, segregate dal mondo, nell’alloggio per domestici di una casa abbandonata. Il precario equilibrio delle loro vite quotidiane è scosso dall’arrivo di una giovane coppia trasferitasi nell’alloggio principale. Si crea una bizzarra coabitazione tra la coppia e le tre donne che decidono di non rivelare la loro presenza a questi indesiderati vicini. Tuttavia non possono andarsene dopo aver vissuto così a lungo nascoste in un eremo che custodisce segreti sepolti nel profondo del cuore. Ma Aicha, la sorella minore, è attratta dai nuovi arrivati…
Invidia e insolenza. Insolenza e invidia. Sono i sentimenti che abitano nel cuore delle donne al piano di sotto. Emozioni del nuovo che le grandi rigettano, le medie soffocano, le piccole ambiscono. Nel cinema femminile di Raja Amari, le pulsioni della scoperta del diverso si scontrano con i precetti della tradizione, della religione. Non dovrebbero avere dubbi circa la parte dove stare, ma quando al piano di sopra si installa una coppia di giovani moderni, la repulsione per alcune si trasforma in attrazione.
Già in Satin Rouge (del 2002), la protagonista Lilia, dopo aver superato la diffidenza scopre il mondo della danza, della musica e dei piaceri diventando una ballerina.
Raja Amari, dunque conosce bene il gioco del bilanciamento tra sospetto e ammaliamento, tra circospezione e richiamo seducente.
C’è una scena che spiega bene che cosa siano queste emozioni contrastanti. La giovane Aicha (Hafsia Herzi già vista in Cous Cous) va in esplorazione in superficie. S’inebria nell’odore della biancheria pregiata dell’intrusa, lei che è costretta a stratificare calzettoni vecchi con pantaloni e vesti fruste. Si gingilla con le boccette dei profumi, lei che conserva in un angolo un rasoio arruginito che di nascosto della sorella maggiore si passa spesso sulle gambe irsute e mascoline. S’imbatte in un paio di scarpe rosse gioiello, praticamente una sorta d’incarnazione del demonio, con il loro raso di seta lucidissimo e l’accessorio in punta, lei che non ha mai visto nulla che non siano pantofole sfondate. Le ammira, si accomoda per terra, le indossa e si alza facendo leva sui tacchi, rompendone uno.
La costruzione dell’idea di donna è totalmente bandita. E se c’è prevede lo sfregio (il tacco, le vesti sporche, la noncuranza nell’aspetto). Si cerca il più possibile di castigarsi e sacrificarsi, resistendo strenuamente a qualsiasi canto delle sirene. Odiando l’uomo, ma spiandolo di notte. Rigettando la carnalità, aspettando di godere strofinandosi contro un muro.
Se il corpo è vissuto pienamente, con amore e femminilità, è inutile dire come le tre prefiche baffute ti possono bollare. Ti tirano per i capelli e ti legano al letto. Segregandoti, perchè loro non lo lasciano il luogo dei loro passati.
La bella sconosciuta viene così riportata allo stato pre-femminile. Chiusa in una stanza, spogliata dei suoi jeans stretti, privata della blusa metropolitana moderna. Ma le luci della città brillano, abbagliano. E arrivano anche nel preistorico cosmo di Aicha.
Una costruzione da thriller per un film di confine. Di limite tra due mondi, separati da una scala. Di membrana tra due universi. Che possono spaventare e attrarre, che si pensa malsani e in realtà sono solo mutevoli e diversi. Un cinema di donne, solo donne. Potenti e sole.
DOWAHA (BURIED SECRETS) Tunisia, 91′ di RAJA AMARI
con
Hafsia Herzi, Soundess Belhassen, Wassila Dari