Nel momento in cui si inizia a visitare con spirito predisposto, una grande mostra come la Biennale di Venezia, ci si aspetta di vedere qualcosa di nuovo. Qualcosa che sorprenda oppure che affascini. Nel tempo, visitando le successive Biennali, siamo passati attraverso mostre innovative e studiate con cura, ma anche attraverso altre così poco interessanti da sembrare noiose. Quest’anno il titolo così indovinato creava una curiosità particolare tanto da credere che avremmo potuto vedere opere insolite, innovative e colme di significati. Sono io stessa un’artista per cui sono molto attenta a cercare di capire ogni opera proposta ed evito sempre di liquidarla con una battuta. Ma, mio malgrado, devo dire che le opere che ho trovato comunicative e attraenti sono state poche.
Molto interessante l’opera di arte elettronica dell’artista Adi Da Samraj. Mostra curata da Achille Bonito Oliva. (+1) Questo padiglione è l’altro da salvare e, per una visita veloce alla Biennale, da non perdere.
Dopo che l’artista per tanti anni si era dedicato al disegno e alla pittura, dal 1998 si è avvicinato alla fotografia, sottoponendo le sue immagini a manipolazioni elaborate con i computer. Ha sperimentato quelle trasformazioni che gli permette il mezzo elettronico, trovando la sua espressione. Un lavoro ormai abbastanza diffuso tra quelli che non conoscendo a fondo l’uso del computer lo adoperano per le manipolazioni, ottenendo opere che vogliono dichiarare, più che altro, una “conoscenza” del mezzo e una affermazione personale di contemporaneità.
Mi chiedo spesso quando arriverà il momento in cui tutti capiranno veramente che cosa significa fare arte con un computer.
La sua cultura l’ha portato a fare immagini molto complesse e frammentate, dando spazio a forme geometriche ripetute. I colori sono splendidi, ma sono costretti e fermati dalle e nelle forme geometriche. Costruisce immagini prive di quella fluidità di quella liquidità caratteristica della migliore arte a computer.
Ma tra gli artisti che adoperano il mezzo elettronico in questo senso, è senz’altro il migliore che abbia visto.
Da vedere nella cornice del cortile del Presidio Militare di Riva degli Schiavoni a Venezia un’installazione significativa, “La Stanza dell’Artista” di Loredana Raciti, mostra a cura di Fabrizia Buzio Negri.
All’interno del Presidio una grande installazione dà modo al visitatore di entrare in stretto contatto con l’intima ispirazione dell’artista. Racchiusa in un cubo dalle caratteristiche multimediali, la visione emozionale dell’opera prende forma in questa Stanza ideale.
Lo spettatore si trova così immerso in un multiforme percorso di emozioni visive e intellettive.
L’artista approda a questo progetto dopo un lungo percorso artistico, iniziato nel 1996 con la ripresa della tecnica collage di matrice cubista, reinterpretata con fotogrammi cartacei che spaccano sfondi cromatici.
Tanti, come dicevo, gli eventi collaterali, molto difficile riuscire a descriverli tutti, quindi mi limito solo ad alcuni.
Da segnalare il progetto “Camera 312 promemoria per Pierre”, a cura di Ruggero Maggi, dedicato a Pierre Restany. Un divertente, curioso lavoro incentrato sull’uso di diversi Post-it gialli, messi in opera in una camera d’albergo, da un folto gruppo di artisti. Ognuno diverso e bizzarro, racconta la testimonianza poetica dell’autore. Tra gli artisti più noti Alba Savoi, Marzia Corteggiani, Gabriella Di Trani, Teresa Pollidori…
Nell’ambito del 2PP3 PERFORMATIVE PAPER PROJECT curato da Carlo Damiani, Max Cerchia, Guglielmo Di Mauro, Emiliano Bazzanella, altro lavoro particolare e interessante quello che il Gruppo Sinestetico (M. Albertin, A. Sassu, G.Scordo) continua da anni a portare avanti. Questa volta nella performance, presentata nel Chiostro di Santa Maria Ausiliatrice, il Gruppo ha posto l’attenzione sul concetto di eliminazione.
Eliminazione come metodo di selezione o come ipotetico metodo di autoeliminazione in un sistema dove il concetto artistico si autoalimenta e in un certo senso si rende immortale. Nelle performance l’autoeliminazione è vista con ironia, con sottili riferimenti ai luoghi comuni e alla quotidiana visione mediatica. A mezzo video o fotografico, le immagini prodotte sono appositamente elaborate per evidenziare tale visione: la selezione dell’individuo.
Nell’ambito dello stesso progetto 2PP3, interessante e raffinato il lavoro in metacrilato bianco di Antonella Craparotta.
In conclusione, una Biennale da ricordare solo per alcune opere attraenti che creano curiosità e interesse, in un ambito generale un po’ angoscioso e angosciante. Non sorprendente.