“Elephanta suite” di Paul Theroux

Tre racconti che disegnano un’India unica e lontana dagli stereotipi

Un libro che mostra l’anima dell’India a partire dall’incontro che compiono i protagonisti – occidentali – con un paese contraddittorio e magnetico. L’India appare così, in una narrazione triplicata (tre sono infatti le storie che si intrecciano), con il suo vero volto, senza maschera, né trucco.

Abbandonare l’immagine di un’India da catalogo, fatta di sari dai colori accesi, di occhi incorniciati di kajal e di pellegrini che affollano i ghat di Benares. Abbandonare l’idea che l’India possa essere compresa una volta per tutte e spiegata con (occidentale) razionalità. Abbandonare la presunzione che dall’India si possa tornare uguali rispetto a quando si era partiti. E che, quindi, si possa davvero tornare (se stessi). E’ questo il merito di Paul Theroux, uno scrittore che ha fatto del viaggio e della letteratura di viaggio la sua vita, dimostrando di saper raccogliere l’eredità di Chatwin. Dopo aver raccontano la Cina, Hong Kong, la Patagonia, l’Africa – dal Cairo a Città del Capo, Theroux si sposta nel continente indiano, fotografando in modo assolutamente realistico un paese a cui non si può applicare una definizione uniforme.

L’India di Theroux non è edulcorata, affascinante, magnetica o univoca. E’, semplicemente, ma in un modo elementare e perfetto, l’India che travolge e prende a schiaffi il viaggiatore, l’India che non aspetta, quella contraddittoria e multiforme, polverosa e caotica. E’, ancora di più, ed in modo ancora più intenso e drammaticamente persistente, in una sorta di trasformazione sinestetica, l’India percepita dagli occidentali. O meglio, dagli statunitensi, quasi incapaci di reagire di fronte ad un continente e alla sua complessità. I protagonisti del libro di Theroux, infatti, pur muovendo da punti di partenza diversi e avendo alle spalle esistenze ed esperienze difformi, sono in modo assoluto tutti ugualmente indifesi ed inesperti. Portano negli occhi e nell’anima l’immagine di un paese costruito di stereotipi che non solo non corrispondono al reale, ma lo appiattiscono e impediscono contemporaneamente di capirne e assorbirne la molteplicità. Credono che in India si possa comprare serenità e pace interiore a pacchetti, semplicemente soggiornando in un centro ayurvedico, avvolti e storditi dall’incenso. Vedono solo miseria, polvere e sporcizia.

E, di conseguenza, forti di una presunta superiorità intellettuale, economica e politica, pretendono di giudicare, insegnare e correggere errori e storture. Sperimentando ben presto però, e in modo più o meno doloroso, come questa presunzione non solo sia priva di valore, ma possa condurre ad un totale capovolgimento dell’esistenza, e ad una messa in discussione di categorie e certezze che si credevano affermate. Così, mentre la vacanza idilliaca di una coppia di mezza età si trasforma in tragedia, un affermato avvocato di Boston ritrova la propria identità solo dopo essere passato attraverso gli slum di Bombay. E, infine, una giovane donna, nella Bangalore dell’eccellenza scientifica e tecnologica, stringe amicizia con un elefante.

La grandezza di Paul Theroux, in queste tre immagini scattate con occhio attento, in cui i protagonisti si muovono con paradossale lentezza in un paese che corre veloce senza fermarsi a prendere fiato, è quella di saper mostrare la complessità, il caos, le contraddizioni, la confusione indiana senza dispensare giudizi né dare ricette. Raccontando semplicemente un paese fatto di mille caratteri diversi – accogliente e tumultuoso, che costringe a guardarsi allo specchio e che affronta agguerrito l’occidente e la globalizzazione mantenendo una fedeltà assoluta alle proprie tradizioni millenarie – Theroux ci dice che l’India non accetta mezze misure, né indifferenza o reazioni tiepide. L’India è fatta di divinità e polvere. L’India è fatta di estremi.

Paul Theroux, Elephanta Suite, Baldini Castoldi Dalai, 2008, pp. 268, 18,50 euro.