“Proviamo ad immaginare il futuro. 18 gennaio 2008”.
Così viene titolato un filmato, apparentemente amatoriale, girato a New York.
Una festa viene interrotta da un’unorme esplosione che avvolge lo skyline della metropoli. Il panico cresce rapidamente ma la telecamera continua a riprendere.
La visione è confusa, sgranata ma tremendamenrte reale.
La sensazione di deja-vù è palpabile: impossibile che il ricordo dell’11 settembre non ritorni alla mente.
Il video viene diffuso attravwerso la Rete e, sebbene sia mosso, confuso e di bassa qualità, fa il giro del mondo in brevissimo tempo, attraverso il tam-tam di migliaia di navigatori.
Il video, in realtà è un falso, una fiction, un video virale.
Il crollo del World Trade Center ha creato un paradosso che confonde la realtà che sembra un film con un film che simula la realtà.
Milioni di schermi televisivi in quel momento, in tutto il mondo proprio l’11 settembre, replicavano gli attimi del disastro generando un cortocircuito rispetto alla rappresentazione della realtà.
Molti hanno creduto che le immagini di quegli istanti fossero parte di un film.
La realtà ha così spiazzato e superato la Realtà.
L’autore del finto disastro di cui accennevamo sopra 18 gennaio 2008 ha un nome, J.J. Abrams, ideatore del serial-tv Lost.
Operano in questa prospettiva i mockumentary, termine usato per definire quei film che si presentano come falsi documentari.
Nasce così un preciso genere cinematografico che si appropria dell’estetica del documentario, ne sovverte le regole e le utilizza per raccontare storie di fiction.
E’ necessario sottolineare come il falso documentario non pretenda di far credere vero qualcosa, aumentandone il grado di
credibilità, ma cerchi soprattutto di spingere il pubblico a interrogarsi a proposito del tema trattato e del linguaggio del documentario stesso.
Un mockumentary, rappresentando elementi che non appartengono al mondo reale, incoraggia il pubblico a chiedersi quali fra questi elementi sarebbero normalmente necessari per garantire l’autenticità dei film: questo stimola l’abilità dello spettatore nel separare la realtà dalla finzione, e si presenta al pubblico come un film che potrebbe essere sia vero che falso.
Fu Orson Welles il primo grande manipolatore dei linguaggi mediatici, quando nel 1938 sconvolse L’America con la sua riduzione radiofonica de La guerra dei mondi.
Si sono concretizzate paure in The Blair Witch Project.
Questo neo-genere sta vivendo un momento di crescita vertiginosa.
La sovraesposizione visiva post 11 Settembre ha contribuito a rafforzare il presupposto che il rapporto conflittuale tra realtà e finzione costituisca un elemento fondamentale della visione cinematografica, mentre le nuove tecnologie ne hanno moltiplicato esponenzialmente le potenzialità.
Brian De Palma ha partecipato al Concorso della 64° Mostra di Venezia con il falso documentario Redacted, ottenendo grandi consensi fra critica e pubblico.
Il film si ispira ad un fatto realmente accaduto: lo stupro di una ragazzina irachena, ad opera di una squadra di soldati USA.
Non si tratta però di un documentario, ma neppure di un film ispirato a una storia vera.
De Palma sceglie infatti di utilizzare il linguaggio scarno di un documentario, manipolando la narrazione come pura fiction.
Sarebbe un errore pensare che questa ambiguità voglia prendersi gioco dello spettatore, confondendolo dalla reltà di ciò che viene mostrato dalle immagini.
Difatti, fino a prova contraria George W. Bush non è stato vittima di un attentato, nè lo sarà il 19 dicembre 2007, sebbene il regista G. Range abbia documentato in quel giorno la (finta) morte del 43° presidente degli USA.
Il film Death of a President ricostruisce in modo meticoloso il passaggio di potere nelle mani di Dick Cheney dopo l’assassinio del suo predecessore.
Analogamente in Nothing so strange, Brian Flemming ipotizza la morte violenta di Bill Gates.
Ovviamente questo crimine non è mai avvenuto.
Il regista, attravero la sua analisi, esamina aspetti della società e della cultura americana, senza alcun tentativo di convincere il pubblico della realtà dei fatti ma ponendo l’accento sui risvolti socio-economici che potrebbero nascere da un evento del genere.
In Italia una sorta di esperimento era stato provato da Ruggero Deodato con un film trash-horror ambientato in Amazzonia sul sequestro di una documentarista e la sua troupe da parte di una tribù autoctona scopritisi poi cannibali.
Titolo eloquente Cannibal Holocaust.
Le immagini che scorrono raccontano di antropofagia, stupri collettivi e sgozzamenti vari tra tribù che occupano il territorio e combattano per esso.
Fra gli attori principali c’è anche un giovanissimo Luca Barbareschi, al quale, in seguito ad un morso di serpente velenoso, viene amputata una gamba, tutto naturalmente ripreso in diretta.
Tutto naturalmente vero, tutto naturalmente falso.
La scelta poi è affidata al gusto del pubblico, il quale è sovrano nel decretare se questo filone avrà un seguito o meno.