A vederli sembra incredibile che due personaggi del genere siano in grado di tener salde le redini della scena dance più raffinata del momento (degli ultimi 15 anni, in realtà). Thomas Fehlman, magrissimo, sembra spezzarsi mentre si scuote al ritmo della musica con cui apre la serata; Alex Paterson, decisamente pingue, sembra avere le mani troppo grandi e tozze per scivolare sui vinili. E invece…
Ferragosto d’eccezione al Forte Marghera di Mestre. Sul palcoscenico, con la classica ora di ritardo delle grandi star, gli Orb, leggenda dell’elettronica che piomba sulla terra nella nuova formazione denominata Le Petit Orb.
Impossibile, se non inutile, tenere a mente la scaletta ipertrofica. I brani degli Orb si mescolano a materiale altrui, perlopiù sconosciuto ai presenti (incluso chi scrive). Ma non è importante, perché non è su questo che si fonda la serata: gli Orb dal vivo tengono una delle più esaustive e sorprendenti lezioni sul ritmo. In fondo, una delle sfide del movimento IDM – Intelligent Dance Music di cui gli Orb furono un caposaldo, era quella di lavorare sui quattro quarti tipici della house e dei suoi derivati per ricavarne qualcosa di nuovo, di autentico. Variazioni minime, ammorbidimento dei suoni, armonizzazione degli arrangiamenti, equilibrio fra ciclicità e progressione ed una non trascurabile componente ipnotica derivata dal dub. Un cocktail che gli Orb non hanno mai smesso di rimestare, alterandone spesso gli ingredienti a caccia dell’inedito, dell’inaudito. Lo hanno fatto anche in concerto, spiazzando i presenti con accelerazioni, brusche frenate, sincopi che spezzano la coazione a ripetere dei corpi in movimento – e inoltre, con le incursioni nel tappeto sonoro di oggetti esterni, alieni, scampoli di realtà. Sia chiaro: sirene di ambulanze, annunci di telegiornale, dialoghi tratti dai film e campionamenti di brani anni ’50 si sentono ormai ovunque. Se i Matmos hanno fatto scuola con i loro glitches, i microbeats e i rumori rubati al quotidiano, Fatboy Slim e Moby ci hanno abituati a sentire affiorare, fra un battito e l’altro, le grandi voci del passato trattate con deferenza o quelle del presente mixate con ironia. E così anche gli Orb, che queste intuizioni le hanno avute per primi, sciorinano citazioni, da Singin’ in the rain a Pulp Fiction, dalla black music degli anni ’60 all’elettronica minimal-rumoristica, per finire, proprio in chiusura di serata, con un remix di Without me di Eminem che ha del miracoloso e un brano drum’n’bass che ormai fa tanto vintage.
Spazzata via tutta la loro produzione “lenta” (gli Orb hanno fatto e fanno anche grandissima ambient, e sperimentano improbabili ma spassosissime incursioni nel reggae e nel dub, e chi più ne ha più ne metta – sentire “Pomme Fritz” per credere), il progetto Le Petit Orb raccoglie e frulla tre ore di incessanti martellamenti dance, techno e trance, adrenalinici e spettacolari. Non un attimo di tregua per chi sta ai piatti, non un millisecondo di distrazione per chi, mouse alla mano, fa suonare il laptop. Non un attimo di sosta per chi è in pista e balla, e può respirare solo quando la transizione fra un brano e un altro spegne per pochi istanti le pulsazioni.
Concerto simmetrico, che si apre e si chiude con i dj set individuali (di Thomas prima e di Alex poi), e che ha il suo punto di forza nel lavoro a quattro mani, in quel corpo centrale che è a sua volta simmetrico e che incastona fra due lunghe tranches ad alta velocità una parte più ruffiana, quasi elettrofunk, in cui i due danno il meglio di sé.
Orb, Le Petit Orb, o anche da soli: Thomas Fehlman per i fatti suoi e Alex Paterson col progetto Transit Kings, che coinvolge anche il Pink Floyd Guy Pratt ed ha pronto l’album “Living in a Giant Candle Winking at God”. I fuochi d’artificio non c’erano, le “avventure oltre l’Ultramondo” sì.
www.theorb.com
www.transitkings.com