Fear Factory in concerto al NewAge club di Roncade (TV)

Passaggio a Nordest per i californiani Fear factory, in giro dagli ormai lontanissimi primi anni novanta. Chi scrive, a metà della scorsa decade, rimase folgorato dall’uscita di un album che risponde al nome di “Demanufacture”, un’esplosiva miscela di techno e violentissimo trash/death suonato alla velocità della luce.

Lo stile vocale di Burton Bell, che passava dal rantolo della strofa (tipico della vitalissima scena death dell’epoca) a quello melodico nei ritornelli, e la doppia cassa impossibile del batterista Ray Herrera, furono il marchio di fabbrica di una band che vantò per un certo periodo numerosissimi seguaci e cloni.

La lotta tra l’uomo e la macchina e scenari futuri poco rassicuranti: questi i temi trattati da quell’album capolavoro. Il lento (e ovvio) declino artistico della band, incapace di mantenere inalterato un livello qualitativo così elevato, portò, in seguito, alla produzione di album non brutti ma nemmeno memorabili, e a diversi cambi di formazione.

Perso il mitico chitarrista ciccione Dino Cazares (autentico personaggio di culto del metallo pesante), rimangono Bell ed Herrera a tenere alta la bandiera della fabbrica della paura.

Il concerto inizia dopo lo show di un gruppo di ragazzotti del Michigan, i Misery Index, intenti a picchiare duro sugli strumenti e poco altro. Il numeroso pubblico presente al New Age (circa 500 persone) saluta calorosamente l’entrata in scena del combo californiano, che attacca con un paio di buoni pezzi della produzione più recente, per poi creare lo scompiglio sonoro tra gli avventori con il trittico iniziale di Demanufacture, durante l’esecuzione del quale è impossibile non cantare a squarciagola, gasatissimi e memori dei bei tempi che furono, quando i capelli erano molti e molto lunghi.

Il pubblico richiede a gran voce anche il quarto pezzo, ovvero l’unico singolo di un certo successo anche al di fuori dell’ universo metal: “Replica”. Ma ciò non avviene, in quanto tale brano è previsto come chiusura del concerto. E allora via con tracce prese democraticamente un po’ da tutto il repertorio, compreso il primo album “Soul of a new machine” del 1992. Qualche imperfezione di Bell nelle parti melodiche non pregiudica comunque la qualità generale della performance. Ciò che impressiona è la precisione chirurgica del batterista, veramente incredibile.

Il discreto songwriting della produzione recente è comunque impreziosito da qualcosa che i grandi gruppi hanno e tutti gli altri no: la classe. Giocano di fioretto, soprattutto negli efficaci ritornelli, andando a flirtare con melodie molto vicine a certo pop-rock da alta classifica (orrore!) e abbassando i bpm.

Scorrono velocemente i pezzi, intervallati dal siparietto “cantante-straniero-che-ripete-parolacce-e-bestemmie-in-italiano-per-fare-il-ruffiano-col-pubblico”, che comunque suscita sempre ilarità, fino a concludere con l’annunciata Replica, con tripudio dei presenti.

Neanche fosse una partita di calcio, 90 minuti, triplice fischio e squadre negli spogliatoi.