L’idea perenne è quella della sospensione. L’essere travolti dalla leggerezza dei suoni, quelli più dolci ed evocativi, a metà tra i Radiohead e i primi U2, tra psichedeliche atmosfere pinkfloydiane accompagnate da una voce alla Nick Drake dal marcato sapore “british”.
Tutto questo è Flowers, il nuovo lavoro dei Margareth, una giovane band indie mestrina.
Il primo brano dell’EP è Help you out, interamente giocato su forti echi e richiami sonori. La scrittura iniziale si basa su un intreccio di strumenti molto lineare, che si apre sul finale, dando spazio alle chitarre. Su tutto questo si appoggia la voce di Paolo Brusò, all’insegna di un testo dalla ripetitività quasi ossessiva, ma che proprio in questo trova la sua potenza espressiva.
Seconda traccia dell’album è la delicatissima Flowers. Un gioco di suoni estremamente minimal, con la calda voce di Paolo Brusò a cui fa eco il pianoforte appena accennato di Alessandro Fabbro, in un’atmosfera che ricorda molto i Coldplay. Progressivamente, anche gli altri strumenti entrano in scena, fino a lasciarsi andare in un lungo e intenso strumentale. Nel finale, la tromba di Alessandro Fabbro emerge come un estremo, straziante lamento, lacerando il tappeto di synth che fino alla fine avevano cercato di rubargli anche quell’ultimo spazio.
Ancora, Asimov, dall’incedere vagamente jazzato in cui lo shuffle della batteria di Niccolò Romanin e il basso di Alessandro Benvegnù fanno da padroni. Menzione particolare meritano i diversi incisi all’interno del brano che non possono non richiamare alla mente mitici gruppi prog dei Seventies come Yes e Genesis.
Maze è l’ultima traccia dell’EP. Di preludio al brano vero e proprio, il canto solitario di Paolo Brusò, presto sorretto da chitarre distorte in una presenza quasi casuale. Intanto la voce prosegue, quasi non curandosi di ciò che si sta muovendo intorno a lei, in un’atmosfera di irrisolvibile sospensione.