“GIAPPONE. L’ARTE DEL MUTAMENTO” (2005-2007)

Per tre anni Genova ospita una serie di grandi mostre sull'arte nipponica

Scrivere la recensione di una mostra quando ormai s’è conclusa ha un sapore stra-no: sembra di farne il necrologio. Se le mostre sono quattro (anzi: cinque), come in questo caso, ci si sente quasi responsabili di una mancanza. C’è, però, una consola-zione finale: questo è solo il primo dei tre anni in cui si articolerà Giappone. L’Arte del mutamento. La prossima primavera inizia il secondo giro.

Uno spazio è grande, arioso, storico, integrato nel cuore amministrati-vo e culturale della città, vicino alla sede della Regione e al Teatro Carlo Felice. L’altro è più raccolto, ordinato, severo, in cima a una collina che domina il porto vecchio. Il primo spazio è il Palazzo Duca-le di Genova, dove da aprile a agosto hanno trovato sede le quattro mostre del primo anno della rassegna Giappone. L’arte del mutamen-to.
Ma è dal secondo spazio che le cose sono partite. Nel 2004 Genova è stata Capitale Europea della Cultura, e sull’onda lunga di quest’esperienza si è voluto rivalutare un rapporto che affonda le sue radici nell’Ottocento. Il museo, infatti, è intitolato al grande incisore e collezionista Edoardo Chiossone (1833-1898), e ospita, in tempi nor-mali, la più importante raccolta privata di stampe e dipinti giapponesi d’Europa, una delle più importanti del mondo. Ma in tutto la collezio-ne consta di circa ventimila pezzi, raccolti da Chiossone nel corso dei 23 anni vissuti in Giappone, tra dipinti, stampe, libri illustrati, lacche, porcellane, strumenti musicali e armature. E bronzi, che ora sono qui riuniti sotto il tema Acqua Fuoco Luce Fiori. Bronzi dall’Antichità al XIX Secolo.

Parte delle stampe e dei dipinti (119 le prime e 40 i secondi), invece, sono in trasferta al piano nobile del Palazzo Ducale (Capolavori dal Museo Chiossone. Stampe e dipinti Ukiyoe), insieme a una mostra sui tessuti, dalla collezione Montgomery: Avvolti nel mito. Tessuti e co-stumi tra Settecento e Novecento, a cura di Annie M. van Assche.
Non ho le competenze per giudicare la mostra sui tessuti, ma è un fat-to che offrano, a chi voglia coglierlo, uno spaccato della società giap-ponese nel corso di più di due secoli, forse lungi dall’essere completo – ma non era nelle intenzioni – ma sicuramente profondo, e in un cer-to senso intimo, trovandoci di fronte a copri-futon (le stuoie che costi-tuiscono il giaciglio tradizionale giapponese), kimono maschili e femminili, vesti da cerimonia, abiti da pompiere o da contadino o da pescatore, stendardi per feste popolari, e tessuti piuttosto rari ed “eco-sostenibili” come glicine, banano, ramia (dall’ortica bianca), oltre, na-turalmente, al cotone.

Per quanto concerne quella sull’ukiyoe, curata da Donatella Failla, di-rettrice del Museo Chiossone, appare tutto organizzato con grazia, senza ridondanti punti esclamativi, solo suggerimenti: luci basse per non danneggiare le delicatissime opere, e supporti in legno nudo, che fanno concentrare lo sguardo sulla cosa mostrata, senza disperdersi nella contemplazione dell’allestimento, che sa essere, elegantemente, di servizio.

Lo ammetto: sono stato fortunato. Ho però anche scelto dei giorni par-ticolari: il 13 agosto Genova era completamente vuota, e così le mo-stre, che avrebbero chiuso il 21. C’era ovunque silenzio, e l’educazione di chi è interessato davvero, specialista o meno che sia.
Il chiacchiericcio in mostre di questo tipo spezza l’atmosfera contem-plativa. E interrompe lo sguardo, che dev’essere di necessità concen-trato sui particolari, che si raccolgono in un insieme che chiede di es-sere indagato. Non basta l’impatto, con l’arte ukiyoe. Contribuisce a questo la dimensione ridotta delle opere, e la fioca luce che le illumi-na. E non basta il piacere estetico, quando lo si prova: è necessario conoscere qualcosa della società che ha prodotto tutto questo. Ed è anche necessario sapere l’impatto che ha avuto sull’arte occidentale, dell’enorme influenza che ha esercitato sulla cultura francese dell’Ottocento, e sugli impressionisti in particolare. Nomi come Uta-maro e Hokusai erano celebri, nella Francia dell’Ottocento, per essere stati oggetto di due monografie dei fratelli Goncourt. Harunobu, Hiro-shige, i loro nomi e le loro opere, erano pane quotidiano per gli artisti che inseguivano, qui da noi, un’arte fuori delle accademie, fondata sull’asimmetria, sull’attenzione coloristica e naturalistica, sul quoti-diano della gente del popolo e della società borghese… ma, come d’altronde l’Impressionismo stesso, l’ukiyoe, ovviamente, non è solo quello.

Si tratta di un nome collettivo per una serie di esperienze artistiche (u-kiyoe, alla lettera, è immagine del mondo fluttuante) espressione della società dei chonin (i “borghesi”) e dei quartieri di piacere della capita-le amministrativa dell’Impero, Edo. L’ukiyoe, storicamente, è durato più di 250 anni, quanto l’epoca Edo stessa (1600-1867). Hokusai e Hi-roshige, due trai suoi più grandi maestri, sono stati anche tra gli ultimi. Ma non si può ridurre l’ukiyoe ai maestri, che sono le eccezioni che hanno saputo sfruttare il terreno fertile della società che li circondava per farne quella che ora è universalmente considerata Arte. Il “mondo fluttuante” dei quartieri di piacere ha prodotto stampe delle celebri cortigiane e degli attori, vedute delle località celebri del Giappone (come le 36 e le 100 vedute del Fuji di Hokusai, o le 53 stazioni di po-sta del Tokaido, di Hiroshige), stampe celebrative di teatri kabuki, pa-raventi, ventagli, cartoline augurali (surimono), dipinti, manuali di di-segno, figurine da ritagliare, e shunga, album di stampe erotiche.
In questa mostra ci sono opere rarissime, come i due emakimono (ro-toli orizzontali) di Miyagawa Choshun (seguace di un altro grande maestro: Moronobu) e una grande scelta di stampe policrome (nishi-kie) dai suoi prodromi alle vedute di Hiroshige, i ritratti di Utamaro, e le bijin (bellezze femminili) di Torii Kiyonaga.

Vale la pena ricordare che due anni fa il Palazzo Reale di Milano ha ospitato la mostra Ukiyoe. Il Mondo Fluttuante, che a sua volta racco-glieva l’eredità della grande mostra monografica (1999-2000) Hoku-sai. Il vecchio pazzo per la pittura. Entrambe curate da Gian Carlo Calza, responsabile della tre anni di Genova. Come curatore, quest’anno Calza ha portato a Genova il coronamento di un’altra sua scelta curatoriale: Manifesti d’artista. 1955-2005. Un percorso inizia-to alla Triennale di Milano nel ’96 con Giappone, segno e colore. 500 manifesti di grafica giapponese, e proseguito al PAC, l’anno successi-vo, con la monografica su Tanaka Ikko.
Qui a Genova si ritrovano, tra gli altri, i nomi di Tanaka Ikko, Sato Koichi, Nagai Katsumasa, Matsunaga Shin, presenti all’interno delle otto sezioni in cui la mostra è divisa: Comunicazione, Sport, Ambien-te, Arti e Teatro, e Tipografia, con Pace e Stile Giappone a chiudere il percorso.

Bambini neri che piangono (letteralmente) occhi azzurri; foreste grafi-camente credibili costruite coi caratteri di mori (foresta), hayashi (bo-sco) e ki (albero) di cui i primi due sono combinazioni; frecce bianche di ogni tipo, su fondo nero, che vanno in tutte le direzioni; le pubblici-tà della Nike di Noda Nagi e i manifesti di Onuki Takuya per i grandi magazzini Laforet; le foglie-uccelli di Masuteru Aoba (debitrici di Magritte), l’albero fatto di uccelli di U.G. Sato, che guarda a Escher, e le sperimentazioni grafiche di Kasai Kaoru (per il negozio d’abbigliamento United Arrow), che ricordano da vicino i lavori di Gianluigi Toccafondo.
Impossibile, e a conti fatti inutile, scegliere un’opera rappresentativa della mostra, o più significativa di altre; tuttavia, ho una personale preferenza: il manifesto per la pace di Fukuda Shigeo del 1974. Una canna di fucile nera, in stile pop art, attraversa diagonalmente un cam-po giallo. A completare la diagonale spezzata, un proiettile con la pun-ta rivolta verso la canna. In alto a sinistra, in bianco, una scritta: Vic-tory.

Forse anche per l’impatto e l’efficacia di alcune di queste opere, fran-camente deludente appare la minimostra didattica su Hiroshima e Na-gasaki, messa su probabilmente solo per completezza, ma quasi con-trovoglia, ricorrendo quest’anno il sessantesimo delle due bombe. Era una mostra fotografica, ma non c’erano fotografie. Solo stampe su pannelli applicati al muro, in uno stanzino decisamente angusto.
Le mille gru di carta della piccola Sadako, forzato simbolo dell’innocenza distrutta, con un tavolinetto con una stampata che spiegava come fare una gru in origami: commovente, forse, ma non necessario. Non se fatto in questo modo. La piccola Sadako, così co-me tutte le altre vittime delle bombe atomiche, avrebbero, forse, meri-tato qualcosa di più approfondito.

“Giappone. L’Arte del mutamento”
Primavera – estate 2005, 2006 e 2007
Ingresso, valido per tutte le esposizioni (Palazzo Ducale e Museo Chiossone): intero € 7,00, ridotto € 6,00, scuole € 2,50
Orari Palazzo Ducale: tutti i giorni escluso il lunedì dalle ore 9,00 alle ore 21.00; la biglietteria chiude alle ore 20.00
Orari Museo E. Chiossone: dal martedì al venerdì, ore 9.00 – 19.00 sabato e domenica, ore 10.00 – 19.00; chiuso il lunedì
Visite per gruppi: prenotazione obbligatoria, fax +39 010 562390, email biglietteria@palazzoducale.genova.it
Visite guidate individuali: ogni sabato, ore 17.00, prezzo € 11,00, appuntamento dalla biglietteria
Cataloghi: “Avvolti nel mito.Tessuti e costumi fra Settecento e Novecento dalla collezione Montgomery” – “Hiroshima-Nagasaki. Fotografia della memoria” “Manifesti d’artista. 1955-2005” sono di IdeArt – www.ideartgroup.com
“Capolavori del Museo Chiossone. Stampe e dipinti Ukinoe 1660- 1860” è di Skira – www.skira.net