Se al Festival del Cinema di Berlino del 2013 questo film ha vinto il “Teddy Award”, premio riservato ai film a tematiche gay, non è un caso. Se la tematica gay di cui si parla è nello specifico l’omosessualità dei preti – argomento scabroso e difficile – allora parlarne è quanto mai necessario e attuale. E dunque questo film polacco parla di omosessualità e di preti in modo intenso, drammatico, ma nel contempo obbiettivo ed equilibrato; è una pellicola coraggiosa e anticonformista senza essere scandalosa; coinvolgente, drammatica, persino un po’ thrilling, simbolica senza cadere nella retorica.
Padre Adam è un parroco itinerante tra un villaggio e l’altro della campagna polacca. Lui, uomo di città, ha scelto di occuparsi di una comunità di ragazzi difficili delle zone più periferiche e depresse, giovani abbandonati, violenti, sbandati, alcolizzati, drogati, disadattati anche psichici. Un compito arduo, sovrumano. Dalle difficoltà nascono apprezzamento, ma anche ombre, dubbi e critiche. Se è pur vero che resiste stoicamente a Ewa (i nomi dei due protagonisti non saranno certo casuali), una giovane e procace parrocchiana che lo tenta invano, è anche vero che il modo in cui guarda i ragazzi – Łucasz in particolare, fragile e instabile che gli si appiglia più degli altri – desta sospetti, primo fra tutti del suo coadiutore laico, che a suo tempo aveva rinunciato al sacerdozio per amore di una donna. Ma uno sguardo non é ancora un abuso e Padre Adam non commette alcun abuso.
Nel segreto della confessione uno dei ragazzi gli rivela di essere attratto dai coetanei ma di essere allo stesso tempo terrorizzato dalla reazione che si potrebbe scatenare contro di lui se gli altri lo sapessero. Padre Adam gli consiglia come “penitenza” di praticare quotidianamente una lunga e liberatoria corsa nel bosco, cosa che fa lui stesso da tempo. Una disciplina che tuttavia non ha alcuna efficacia per placare le pulsioni naturali e irreversibili del corpo. Il giovane si impiccherà, dopo una notte di sesso con il più bullo dei ragazzi della comunità.
Adam, è disperato e solo: è un uomo, dopo tutto, non diverso da tanti altri anche se si sforza di essere migliore. Ha bisogno di dialogo e conforto ma non lo trova né presso altri sacerdoti né presso alte sfere del clero; è emblematica la sua immagine dietro al cancello sbarrato di una chiesa di città, dove lui arriva per confessarsi: “Torni dopo. Adesso è l’ora delle pulizie”, gli dice una donna mentre il pavimento quello sì, lo strofina alla perfezione.
Tornato alla sua casetta al villaggio trova ormai solo accuse e infamia. È notte, si ubriaca e allora la sua attrazione per i ragazzi la ammette e la confessa via skype alla sorella in Australia. Ma nemmeno lei prende sul serio le sue parole. È fuori di sé e in una scena grottesca e drammatica stacca il quadro con la foto di Papa Ratzinger e balla con lui a ritmo di rock.
Così come è suggestiva la scena della processione campestre che lui guida l’indomani, in cui il sacro delle immagini e dei canti dei fedeli si sovrappone al profano della musica rock, che si sostituisce al sonoro reale della cerimonia.
Padre Adam sa di essere ormai reietto per la Chiesa, condannato senza processo e senza sentenza, ma tuttavia è imprigionato dal suo ruolo. Parte per l’altra parrocchia dove è stato nuovamente trasferito, eppure è ancora innocente, di fatto, ma solo per poco tempo: Łucasz ormai non può più fare a meno di lui, né lui di Łucasz.
Il secondo lungometraggio della quarantenne regista di Cracovia è un lavoro di grande interesse e di raffinata costruzione, con una interpretazione realistica e profonda di questo “Padre Ralf” in versione polacca e gay, bello, prestante, un filo antipatico e scostante.
W imię… (In the Name of…) Malgoska Szumowska – Polonia, 2012, 35mm, 96′, col.