Dal 8 gennaio all’8 febbraio nella prestigiosa cornice dell’Odéon di Parigi Barberio Corsetti mette in scena Gertrude Le cri, prima di un ciclo di opere dedicato a Howard Baker, l’inventore del Teatro della Catastrofe
Ancora pochi giorni e gli spettatori potranno assistere, nella cornice dell’Odeon di Parigi, all’ultimo lavoro di Howard Baker, Gertrude, Le cri (dal 8 gennaio all’8 febbraio). Baker, autore di decine di opere che compongono quello che lui stesso ha definito un Teatro della Catastrofe, è annoverato tra gli scrittori più importanti del teatro contemporaneo. L’Odeon ha deciso quest’anno di consacrare il drammaturgo anche in suolo francese, dedicandogli una parte non trascurabile della programmazione (oltre a Gertrude si potrà vedere Le cas Blanche-Neige, Les Européens e Tableau d’une execution). Per l’apertura del ciclo, il direttore dell’istituzione parigina, Olivier Py, ha fatto appello allo sperimentato e internazionale Barberio Corsetti
Il testo si presenta come una rilettura dell’Amleto. S’apre la scena sull’odioso crimine che Claudius (Luc-Antoine Diquéro) perpetra, per amore di Gertrude (Anne Alvaro), contro suo fratello e legittimo re di Danimarca, padre di Amleto e sposo di Gertrude. I richiami shakespeariani si fermano, a onor del vero, più o meno a questo punto, perché, per il resto, la trama si trasforma in un groviglio che poco ha a che vedere con la semplice efficacia di Shakespeare. La regina possiede un potere oscuro e vorace: gli uomini non le possono resistere; tutti, nessuno escluso, devono cadere vittima dell’appetito sessuale che, inevitabilmente, scatena in loro. Claudius vive con Gertrude una storia divorante, cannibalesca, che rode le loro anime e non sazia mai i loro corpi. Questa passione ruvida, violenta rovescia nel suo percorso tutto quello che le si frappone, totalmente ignara di un bene diverso dall’appagamento istintivo dei loro desideri, anche più sordidi. Il principe Amleto (Christophe Malot) vive a corte, ossessionato dalla vorace sessualità della madre, prigioniero di un ridicolo, smidollato, moralismo e di un rancore che cova sotto gelosie, invidie, complessi. Quando Amleto cerca di punire la madre, che intanto ha partorito un figlio dal fratello e carnefice del re, la vendetta di questi si abbatte spietata, trascinando il giovane principe nella tomba. Dopo di che, la scia di sangue, che avanza ineluttabile, continua il suo folle percorso, venendo il turno della vecchia genitrice, la madre di Claudius, di soccombere per mano del suo stesso figlio. In ultimo, coll’avvicinarsi della calata del sipario, sarà il carnefice Claudius a morire, ammazzato da Gertrude, sua amante ed infine assassina, boia di una concupiscenza che trascende la comprensione umana e che la rende per questo, forse, meno colpevole.
Cupo e violento, il testo di Baker si rivela, dalla prima scena, come il compimento di un fato, di un destino. L’eccitazione sessuale, delirante ed onnipotente, determina l’annichilimento della ragione, dei personaggi e, di fatto, della Storia. E’ a questa fuco tetro, questo grido inarticolato, che l’autore assegna, tra le dramatis personae, il ruolo principale. Tutto nasce da lei e deve tornare a lei, la morte ne è una sua propaggine, la nascita un suo effetto. Alla fine, quando la bufera è passata, si può solo contare i morti lasciati dal suo passaggio. Solo Gertrude ne sarà uscita illesa, grazie alla passione malsana che ha scatenato in un personaggio secondario.
Baker ha scritto un’opera dove l’intrigo – sebbene complesso – è dominato dal grido (Le cri del titolo francese) dei personaggi e, in primo luogo, di Gertrude. Orgasmo, dolore, ultimo spasmo, il verso della passione costituisce la massa critica della pièce. Poeticamente sondata, in realtà sublimata, la passione è letta nel prisma del mito, sfuggendo ad ogni tentativo di razionalizzazione. Non a caso l’autore inglese rivendica tra le ispirazioni principali del suo teatro, oltre all’eredità di Shakespeare, una reazione poetica “antibrechtiana”. Dal teatro di Baker la storia è totalmente bandita e, con lei, ogni strumento di comprensione, di analisi; il mito prende il sopravvento e, con lui, il destino, il fato che l’uomo patisce, in contrapposizione alla storia che l’Uomo edifica.
In Gertrude lo spettatore assiste ad una storia in cui il destino demiurgo guida le file della narrazione. Occorre poco perché l’intuizione di una fine ineluttabile si faccia largo nel pubblico fino a trasformarsi, negli ultimi sanguinosi capitoli, in una certezza assoluta. Chi guarda lo spettacolo intravede più volte la conclusione logica, preannunciata dal testo e tuttavia quest’ultima è sempre allontanata, differita da episodi di cui, in fondo, non si vede la ratio drammaturgica. In realtà – questo il principale difetto di Gertrude – per questo filo protratto a danno di una più precisa orchestrazione semplicemente non ci sono giustificazioni.
Nonostante la forza d’impatto delle situazioni rappresentate (un personaggio dirà di trovarsi “au bord de la falaise”) e un linguaggio poetico violentemente icastico, la struttura narrativa – carica di episodi accessori e personaggi secondari – non appaga pienamente perché fallisce nella sua sublimazione mitica, senza, d’altro canto, reggere alla prova della verosimiglianza. Baker fonda la sua scrittura sulla riproduzione di situazioni “al limite” e su una scrittura anti-descrittiva, che lo porta, possiamo supporre, a sottovalutare la composizione dell’intrigo. In Gertrude si ha l’impressione di aver assistito ad uno testo troppo lungo, vittima dei suoi eccessi lirici, slegato perché intrecciato, di fatto, con un solo filo.
La mise en scène di Corsetti ha buone idee, che rivelano, in più punti, una sintonia tra il testo e le scelte del regista. La scenografia si basa, lungamente, su una rotaia ad otto posta al centro della scena, e che crea, grazie a due pannelli scorrevoli, un movimento liquido, palpitante, un’energia capace di trasmettere l’atmosfera di un mondo “in decomposizione”.
Per contro, Corsetti verso la fine dell’opera, ha un’idea geniale e tuttavia fuori luogo rispetto alla tonalità del testo. Dalle quinte, si cala uno specchio grande quanto la parete, che, rimanendo sospeso a 40 gradi, riflette il disegno di cui il palco è stato coperto, ovvero l’immagine di un palazzo a due piani. In questo modo, le prospettive si confondo radicalmente, i piani si intrecciano, l’orizzontale del palco (gli attori sdraiati) si trasforma, per il pubblico, nel verticale dello sfondo (gli attori aggrappati ad un cornicione di un palazzo). E’ in questo contesto che si svolge la morte di Claudius, precipitato dal secondo piano dello specchio, in realtà rotolante lungo il palco, davanti gli occhi del pubblico in visibilio. La trovata è sublime, il pubblico apprezza divertito. Eppure questa nota piacevole, di una buffa, concreta materialità, rompe, di fatto, la torbida atmosfera creata dal testo. Lo spettatore, strattonato tra divertimento e vibrazione tragica, non vive appieno né l’estrosa trovata di Corsetti né il senso tragico del destino veicolato dal lavoro di Baker. E’ legittimo domandarsi se Corsetti abbia voluto inserire, in un quadro dai colori cupi, un trillo vivace, segno della suo ispirazione. Quale che sia stata la sua motivazione, speriamo che la riproponga, sviluppata ed ampliata, in uno spettacolo più consono. In questo è piaciuta ma è sembrata stridente.
Infine, per quanto riguarda gli attori una menzione particolare va ad Anne Alvaro, interprete di Gertrude. Con una recitazione distaccata, estraniante, da bambola fulminata, l’attrice francese rende magnificamente la potenza impersonale, tellurica, del suo personaggio. Ugualmente bravi Luc-Antoine Diquéro (Claudius) e Christophe Malot (Amleto) in due ruoli più classici, in cui l’emozione ed il trasporto giocano un ruolo importante.
Gertrude
testo di Howard Baker – regia di Giorgio Barberio Corsetti
testo francese di Elisabeth Angel-Perez, Jean-Michel Déprats – scenografia di Giorgio Barberio Corsetti e Christian Taraborrelli – costumi di Christian Taraborrelli – luci di Gianluca Cappelletti – musica di Gianfranco Tedeschi
con: Anne Alvaro (Gertrude) – Luc-Antoine Diquéro (Claudius) –
Christophe Malot (Amleto) – John Arnold (Cascan) – Francine Bergé (Isola) – Cécile Bournay (Ragusa)
www.theatre-odeon.fr