“Gli amori di Astrea e Celadon” Eric Rohmer

La bellezza dell’inattuale

Concorso
Nella Gallia del V secolo, i due giovani amanti Astrée e Céladon sono costretti a dissimulare il proprio amore a causa dei contrasti fra le loro famiglie; per una serie di equivoci dovuti a questa difficile situazione lei crederà il giovane infedele, lui si crederà respinto dall’amata e tenterà il suicidio. L’intervento di ninfe e druidi riporterà l’ordine nell’idilliaca campagna pre-francese e farà sì che l’amore fra i due pastorelli trionfi.

Conosciamo bene ed amiamo Eric Rohmer per la sua capacità straordinaria di dare alla parola ed alla dialogicità pieno diritto di cittadinanza nei territori del cinema, con le sue sceneggiature quasi mai verbose o compiaciute nella pura bellezza dell’eloquio; che uno dei grandi vecchi della nouvelle vague abbia da insegnarci tanto quanto alle capacità scardinanti dell’ironia dialogica e alla sottile linea fra riflessione morale e divertissement amoroso non lo mettiamo in dubbio, ma purtroppo ci sembra che con questa storia rurale disperatamente, ostinatamente inattuale egli non abbia dato il meglio di sé.
Il grande autore di racconti morali e leggiadre disquisizioni affettive mai leziose ha tutto il diritto di scegliere temi e soggetti che più gli aggradano per esprimere il suo esprit de finesse e la sua gioventù interiore, non di meno chi si trova catapultato in un’ambientazione bucolica di pastorelle e romanze per cetra e flauto di pan ha, a sua volta, tutto il diritto di sentirsi spiazzato, indeciso, in fin dei conti estraneo al discorso che Rohmer ha voluto condurre qui al Concorso della 64ma edizione del festival. Il buon ottantasettenne di Tulle ci ha convinto certamente di più con i suoi “racconti morali” o con le pellicole ispirate alle quattro stagioni (ricordiamo vivamente Racconto d’autunno qui in concorso nel ’98, ottimo esempio di costruzione elegante basata sul dialogo acuto e brioso), mentre si fa più ostico il rapporto fra parola ed immagine se ad ispirarlo è, come in questo caso, un classico “lontano” della letteratura di casa.

Questo Les Amours d’Astrée et de Céladon è poi basato in aggiunta sull’ostico romanzo-fiume compilato ad inizio Seicento da un pioniere del romanzo francese, Honoré d’Urfé, e ambientato in una mitologica Gallia del quinto secolo, popolata da personaggi tipici della narrativa pastorale e bucolica di ispirazione ellenistica, figure a metà fra l’etereo e il divino che parlano in punta di forchetta ed esibiscono una sensibilità ferocemente antimoderna, intessuta di leziosità amorose francamente risibili per un pubblico smaliziato figlio del ventunesimo secolo.
Per carità, la scelta legittima del tuttavia amato Eric è, lo ripetiamo, coerente con la sua ricerca umana, ma questa pagina ricercata e maurivaxiana del suo cinema ci allontana a livello emotivo anestetizzando del tutto (volontariamente, coscientemente) l’immedesimazione e la compartecipazione emozionale dello spettatore, anche in considerazione del fatto che gli scambi di battute adattate dal nostro non sono fra i più riusciti quanto a verve ironica e asciuttezza narrativa.
Le schermaglie d’amore fra due arcadici e perfetti giovincelli è qui quasi polemicamente inserita per mezzo di una didascalia d’apertura in uno dei pochi luoghi di Francia ancora incontaminati da strade, case e “orrori” tecnologici. Ma la polemica antimodernista e nobiliare si adagia poi in una raffigurazione compita, ma non vivida, virtuosistica, ma non virtuosa, di schermaglie amorose, sospensioni estatiche e rossori infantili che hanno decimato il pubblico e suggerito qua e là sorrisini imbarazzati. L’esaltazione dell’amore nella sua sacralità è fin troppo pedissequa in certe noiose figure di amanti fedeli ad oltranza, mentre per paradosso l’unico personaggio vivo, moderno, portatore di significati non scontati è quello dell’immorale e beffardo Hylas, libero cantore dell’amore corporeo e godereccio. E la scena si ravviva davvero solo nella mezzora finale, che ci restituisce un autore molto più vicino al suo migliore potenziale espressivo, con una gustosa commedia degli equivoci en travesti, insaporita da gustosi osservazioni omosessuali e da un diabolico bacio (pseudo)saffico fra la pastorella Astrée ed il suo Céladon, camuffato da gentile donzella.

Che Rohmer volesse esaltare, nascondendola fra le righe di un film un po’ smorto, proprio questa carica eversiva di vivo e passionale erotismo? Che tutto lo sproloquio moralista e monogamico dei personaggi “conservatori” sia messo in fin dei conti alla berlina in modo subdolo e luciferino dalla vivezza dei caratteri “immorali” e dalla sensualità birichina del finale? Ce lo auguriamo, in quanto riconosceremmo e riameremmo il nostro Rohmer più caro, quello della moralità sensuale e dell’erotismo giocoso de Il ginocchio di Claire o del Racconto d’estate, e non un signore elegiaco che si adagia nell’esaltazione di valori crudelmente inattuali. Sia chiaro, il compito di un artista è quello di rispondere e dar sfogo ai propri stimoli creativi, e non vogliamo cadere in un equivoco dogmatico-marxista che esiga l’“attualità dei temi” e la “vicinanza con il popolo”; ciò nonostante con confezioni vezzose come queste un autore rischia non solo di non essere compreso, ma forse di non essere neanche ascoltato. Vedremo se con i suoi prossimi lavori (gli auguriamo i cent’anni di De Oliveira e anche più) Rohmer uscirà da questa torre d’avorio ed eviterà il rischio di affreschi manieristi e un po’ freddini, che in questo caso ha pericolosamente lambito.

Titolo originale: Les amours d’Astrée et de Céladon
Nazione: Spagna, Italia, Francia
Anno: 2007
Genere: Drammatico, Romantico
Durata: 109′
Regia: Eric Rohmer
Sito ufficiale:
Cast: Stéphanie de Crayencour, Andy Gillet, Cécile Cassel, Serge Renko, Jocelyn Quivrin, Véronique Reymond, Rosette, Mathilde Mosnier
Produzione: Compagnie Eric Rohmer (CER), Rézo Productions, Alta Producción S.L.
Distribuzione: BIM
Data di uscita: Venezia 2007
01 Settembre 2007 (cinema)