È l’artista Hans Hartung ad inaugurare a Milano la Nuova Triennale Bovisa: uno spazio espositivo di oltre duemila metri quadrati, che si avvale di bar, ristorante e bookshop; un immenso e poliedrico luogo per ospitare eventi, concerti e altre manifestazioni culturali.
La nuova sede della Triennale fa di Milano un nuovo polo di riferimento per le arti contemporanee e della zona Bovisa, periferia coinvolta in un sostanziosa evoluzione di ristrutturazione e recupero, uno spazio per vivere un’esperienza unica, un elemento stimolatore di incontri culturali ed intrecci disciplinari; come unica e irripetibile è la mostra dell’artista tedesco, Hans Hartung: 200 dipinti, disegni, 50 scatti fotografici e video dedicati alla variegata attività dell’artista.
La mostra curata da Amnon Bartel e Cristiano Isnardi (22-novembre-’06 / 11-marzo-’07) ripercorre l’iter artistico di Hartung (Lipsia, 1904 – Antibes, 1989), dalla pittura figurativa degli inizi, al cubismo e dopo gli anni ’30 all’astrattismo informale di cui diventa uno dei massimi esponenti, sperimentando varie tecniche pittoriche e differenti soluzioni stilistiche, confermando il suo ruolo di padre dell’arte astratta.
La sua arte lascia piena libertà al gesto, che, in un primo tempo, stende i colori sullo sfondo monocromo, in seguito crea un nuovo spazio con cui incrocia macchie e linee, sia in sequenze regolari che distribuite casualmente sulla tela. Non ci sono forme compiute o racconti, ma la forza interiore dell’artista, le sue emozioni i suoi stati d’animo.
Uomo del XX secolo, che fa dell’arte un universo energico, luminoso, dinamico e vitale.
Il suo è un mondo di linee furiose e macchie informali; di gesti e slanci vitali. Sono pennellate, tocchi di colori forti, vivi ed accessi che narrano il suo quotidiano vivere e tale intensità ha l’apparenza di squarciare la tela. Il suo stile è un atto dello scrivere, un dire, che viene chiamato “tachisme”, dal francese tache, che significa appunto chiazza colorata. Un dire che è evidentissimo nei disegni neri del dopoguerra, un’anima ferita e tormentata. In questi lavori i tratti scuri sembrano sbarre di prigione e l’orrore della guerra miete tutta l’umanità. Hartung durante la guerra si arruola con gli alleati, ma nel novembre del 1944 è gravemente ferito e gli viene amputata la gamba destra.
Afferma l’artista nelle sue memorie:
Ero divenuto decisamente tachiste. Le mie macchie si estendevano, invadendo l’intera superficie della tela. Era una pittura nera ed inquieta che rifletteva la mia angoscia, il mio estremo pessimismo dinnanzi all’avvenire.
Il percorso della mostra documenta come Hartung unitamente alla pittura si dedicò anche alla fotografia, la sua seconda memoria, e all’architettura.
I soggetti fotografici riprendono i segni delle sue tele, attraverso giochi di luce ed ombre di palazzi, alberi, oggetti come sedie o pietre, visi; ma anche i fulmini, in cui egli vedeva la natura esprimere lo stesso suo gesto.
I fulmini mi hanno dato il senso della rapidità del tratto…il desiderio di catturare l’istantaneo con la matita o il pennello.
L’artista non si allontanerà mai dall’idea della luce, che come una fenditura, squarcia il buio; dalla possibilità di dipingere quei fulmini, che durante i temporali catturava con la macchina fotografica. Infatti le grandi tele degli anni ’50 e ’60 dipinte con nuovi arnesi: rulli, spazzole di ferro, attrezzi da cucina, compressori con cui spruzzare i colori e altri oggetti adatti a graffiare le tele, mettono in evidenza la volontà dell’artista di riportare la pittura ai suoi elementi essenziali.
Anche l’apparato architettonico è inteso in tal modo. Tre spazi: Minorca ’30 -’39; Parigi ’59 -’72; Antibes ’72 -’89; abitazioni che appaiono come cubi bianchi, immersi nella natura, che fa da decoro; e sulle semplici finestre penetra la luce delle albe e dei tramonti; come tele.
La mostra è impreziosita ancora da un documentario del regista francese A. Renais. La macchina da presa (mdp) inquadra il laboratorio di Hartung raccontando per immagini la sua arte: pennelli e barattoli di colori e poi uno dopo l’altro i suoi fogli, i suoi schizzi, le sue opere. Ed ancora un altro video – documento lo riprende ormai anziano ed infermo a muovere la sua bacchetta da direttore d’orchestra. Di fronte a lui la tela, la sua vita; dirige, spruzzando con i colori l’interiorità della sua anima, che proprio perché interiore, ha bisogno di un alfabeto ideale, immateriale, non figurativo, quindi astratto.
“HANS HARTUNG. In principio era il fulmine”
22 novembre 06 – 11 marzo 07
Orario: 11.00 – 24.00, chiuso il lunedì
Triennale Bovisa – Via Lambruschini 31, Milano
Ingresso: 8 € – 6 € – 5 €
Conferenza stampa: 21 novembre 2006, ore 11.30
Inaugurazione: 21 novembre 2006, dalle ore 22.00
A cura di Amnon Barzel, Cristiano Isnardi
Ricerca scientifica: Fondation Hartung – Bergman
Progetto d’allestimento e grafico: Studio Isnardi e Fondation Hartung – Bergman
Catalogo: 5 Continents Editions
Orario: 11.00 – 24.00, chiuso il lunedì