“HENRY” DI ALESSANDRO PIVA

Volevo essere Tarantino

Torino 28. Concorso
Henry, è così che viene chiamata l’eroina pura dai pusher afroamericani di New York.
Ma non siamo nella Big Apple. Il nuovo film di Alessandro Piva, Henry l’unico italiano in concorso al 28. Torino Film Festival, è ambientato in una Roma periferica, buia, fatta di personaggi infantili, viscidi, immaturi, abietti.
Piva torna a distanza di sei anni dal suo ultimo lavoro, Mio cognato (con Rubini e Lo Cascio), per adattare sul grande schermo il graffiante romanzo di Giovanni Mastrangelo, pubblicato da Einaudi nel 2006.

Il regista rimase talmente folgorato da quel libro che desiderò mettersi dietro la macchina da presa per realizzarlo, autofinanziandolo come per i suoi film precedenti (tra i quali La CapaGira).
«La volontà di realizzare un film dal libro di Giovanni Mastrangelo nasce dalle suggestioni di un universo interstiziale e oscuro, affascinante e labirintico insieme, che ho percepito sin dalla prima lettura. La sfida che comportava l’adattamento consisteva nel trasformare in una nitida cifra cinematografica il doppio registro del romanzo, fatto di dilatate esplorazioni interiori e brusche impennate di azione. L’ambientazione del film è nella suburra di questa Roma da Basso Impero, una Roma di non romani, in cui tutti sono immigrati o si sentono pesci fuor d’acqua nella loro stessa città».

Henry racconta la storia di sbandati giovani e non, di senza futuro, di lotte spietate di quartiere tra trafficanti italiani e immigrati.
Nina (Carolina Crescentini) lavora in una palestra, è fidanzata con Gianni (Michele Riondino), un tossicodipendente. Il loro vicino di casa, Rocco è un tipo tanto fatto quanto poco raccomandabile. Per colpa di quest’ultimo i due si ritrovano coinvolti nell’omicidio di Spillo, un noto pusher di quartiere. A indagare sul caso ci sono due poliziotti non convenzionali, per essere troppo normale l’uno (Claudio Gioè) e per non esserlo l’altro (Paolo Sassanelli).
A inserirsi nelle indagini, una banda di trafficanti italiana (nella quale spicca Dino Abbrescia), che cerca di sbaragliare la concorrenza degli Africani del Ghana.

Il soggetto di partenza è interessante; e la visionarietà di Piva, che ha girato interamente in digitale con meno di un milione e mezzo di budget a disposizione, sa tradursi in meccanismi da meta cinema, con gli attori che parlano direttamente in camera, per giustificarsi o confessarsi. La sua impronta registica sa confermarsi originale e indipendente da schemi.
Ma Henry è un noir violento in cui si respira troppo quell’ambizione gangaster da “volevo tanto essere Tarantino”.

Nella Roma malavitosa di Henry, a Piva non interessa mostrare i colpevoli o dare il senso di giustizia. Lo scopo del regista è osservare, documentando le persone, giovani, poliziotti o gangster che siano. E questo è certamente un dei suoi pregi.
Un altro punto a favore è quello di essere stato messo in scena con un cast caparbio e formidabile.
Ma la grinta di Piva e l’eccellente cast non riescono a restituire alla pellicola la struttura feroce del libro di Mastrangelo.

Nonostante la convinzione e passione registica, Henry non riesce a essere sconvolgente, perché quella fattura surreale kitsch alla Tarantino, diventa un assemblaggio di disparate soluzioni banali o paradossali, e questo fattore grava sulla storia.
Il surreale diventa ridicolo, le incongruenze irreali prevalgono. E questo penalizza un lavoro, che come si diceva, ha un’ottima base di partenza.

Titolo originale: Henry
Nazione: Italia
Anno: 2010
Genere: noir
Regia: Alessandro Piva
Cast: Carolina Crescentini, Claudio Gioè, Paolo Sassanelli, Dino Abbrescia, Michele Riondino.
Data d’uscita: Torino 2010