“HIKIKOMORI” DI GIANLUCA OLMASTRONI

Meglio soli?

Hikikomori è un termine giapponese usato per indicare una sindrome che colpisce principalmente adolescenti e giovani, che spinge al progressivo annientamento delle relazioni sociali a favore di un isolamento che prevede, come unico spiraglio sul mondo, l’accesso ai rapporti virtuali favorito da internet. Nel migliore dei casi, un hikikomori vive l’intera giornata rinchiuso in una stanza dotata di tecnologie sofisticate ed “autosufficienti”; nel peggiore dei casi, la vita di un hikikomori si conclude con il suicidio prima dell’età adulta.

Venerdì 22 Giugno, il cinema “Ai Bersaglieri” di Spinea (VE) ha ospitato la prima proiezione per il Veneto di Hikikomori, film di Gianluca Olmastroni realizzato interamente in Alta Definizione e proiettato da sorgente digitale. Uno dei primi esperimenti di questo genere in Italia, il film sta affrontando una serie di test screenings prima di giungere a una più estesa distribuzione nel mese di settembre.
La visione digitale è un’esperienza alla quale lo spettatore non è ancora abituato: l’algida nitidezza delle immagini, i contrasti violenti, la fotografia livida e impietosa sottraggono all’occhio l’ovattato piacere dei colori pastosi e dei toni morbidi tipici del 35 millimetri. Ma c’è chi ha saputo fare di questi “difetti”, solo apparenti, dei punti di forza per toccare nuove vette d’espressività: ci ha pensato l’anno scorso alla Mostra di Venezia l’ottimo David Lynch di INLAND EMPIRE, mentre per la parallela Settimana della Critica un gruppo di giovani romani dimostrava che con mezzi analoghi, ma abbassando decisamente il tiro, si poteva comunque raggiungere un discreto risultato (La rieducazione di Alfonsi, Fusto, Malagnino e Guerrini).

Anche Hikikomori mostra abilità registiche e fotografiche nel rendere emblematici e funzionali al film alcuni aspetti caratteristici del digitale: colori freddi, atmosfera livida, il senso di desolazione dinanzi alla realtà che invade lo schermo senza fronzoli e senza barriere. La trama, con pochi ma significativi snodi, racconta il vivere quotidiano di un giovane senza nome ma provvisto di nickname (Hikikomori, appunto) che fatica a relazionarsi con l’altro, e col gentil sesso in particolare. Il protagonista rischia, di sua autistica iniziativa e coadiuvato da un beffardo destino, l’isolamento totale – fino a quando non riuscirà a rispecchiarsi in un suo simile, altrettanto solo e impacciato.
Interpretato con il giusto straniamento da Adamo Rondoni, Hikikomori è carico di tentativi falliti di comunicazione: domande che non ottengono risposta, numeri di telefono che non vengono chiamati, speranze vane di far collimare i racconti confidati in chat con gli avvenimenti della vita vera. La solitudine di Hikikomori, che una volta tanto non è una facciata che nasconde perversioni e maniacalità varie, è trattata con lucidità e con attenzione ad un’esistenza tramutatasi in un muto rituale: l’efficace trovata del cesto dei rifiuti che si riempie progressivamente di cotton fioc, quel continuo indossare e levarsi la camicia (il ruolo nella vita “pubblica”), la polo blu (la vita lavorativa), la maglietta (la vita domestica), il frigorifero pieno di porzioni singole di pasti precotti sono indici di un’esistenza pensata in funzione di una sola persona (fisica).

Attento a non attribuire le colpe della solitudine del protagonista esclusivamente alla tecnologia, Hikikomori è un monumento alla timidezza, a una sorta di inevitabile inettitudine. Non tutto brilla, comunque, in questo film. La carne al fuoco è abbastanza per un buon mediometraggio, ma la necessità di raggiungere un minutaggio “da lungo” incide sulla coesione dei materiali. Va così perduta la tensione ossessiva della ripetitività dei gesti, il cammino verso l’estroversione del protagonista si dilata sviluppandosi con ritmi non regolari e la passione che si esplicita nel finale è troppo repentina, e rischia di sembrare posticcia. Allo stesso modo, si registrano imprecisioni nel sonoro, musiche troppo invadenti (che bello sarebbe poter ascoltare i silenzi e i rumori minimali della solitudine di Hikikomori) e qualche svolazzo autoriale (sia di scrittura sia di montaggio) decisamente fuori luogo. Ma la sostanza c’è, e siamo fiduciosi che la versione definitiva pronta per la fine dell’estate saprà sgrezzare del tutto questo interessante esperimento che ha il pregio, raro e non indifferente, di andare incontro al suo pubblico stimolandone la curiosità.