“Happy Tears” di Mitchell Lichtenstein

Lacrime dolceamare

Concorso
Laura (Demi Moore) e Jayne (Parker Posey) sono due giovani e affascinanti sorelle. Le loro strade si sono ormai divise da tempo, ma i loro caratteri son rimasti i medesimi. Laura ha messo su famiglia e conduce una vita piena col pragmatismo e la concretezza di sempre. Jayne non ha smesso di sognare ad occhi aperti, di lasciarsi guidare dall’emotività e di concedersi troppo spesso quelle piccole-grandi pazzie in grado di riempire la sua vita. L’occasione per riunirsi ancora assieme, dopo la morte della madre, sotto il tetto della casa dove sono cresciute, sarà nuovamente legata alla malattia, questa volta a spese del loro anziano e vivace padre. Ma il ritorno in famiglia verrà anche vissuto, soprattutto da Jayne, come un’indagine introspettiva sul passato, una riflessione sul presente e uno sguardo – forse – di speranza sul futuro.

Mitchell Lichtenstein, regista del provocatorio e ben accolto Denti, arriva in concorso al Festival di Berlino dopo aver partecipato col precedente film nella sezione Panorama. Commedia agrodolce, sarcastica e surreale, Happy Tears imbocca la strada di quello che è ormai diventato un microgenere all’interno di certo cinema indipendente americano: la malattia di un genitore rappresenta l’occasione per fare i conti con il proprio passato, ma soprattutto diviene punto di svolta per un nuovo – non sempre più sereno – inizio.

Dall’arzillo e gaudente Michael Douglas in Alla scoperta di Charlie ai fratelli complessati ed emotivamente instabili di La famiglia Savage, dal neopensionato ultrafrustrato Jack Nicholson in A proposito di Schmidt alle famiglia disfunzionale di Wes Anderson ne I Tennenbaum, la rivisitazione cinematografica dei rapporti filiali e genitoriali sembra aver trovato nuova linfa sotto l’egida di una generazione di registi pronti a mettere in discussione la “sacra” istituzione della famiglia.

Ma in Happy Tears Lichtenstein sembra non avere la forza per aggiungere qualcosa di nuovo al filone, e il tentativo di “astrazione extrasensoriale” – ricercato attraverso inserti surreali in flashback sull’infanzia e sui sogni di Jayne – non si rivela abbastanza originale per conferire alla pellicola quel grado di sregolatezza e anticonformismo in grado di attribuire profondità al progetto.

Nonostante le buone interpretazioni degli attori, con un ottima e compulsiva Parker Posey e le due tragicomiche figure del padre (Rip Torn) e della sua infermiera/amante (una divertente Ellen Barkin), Happy Tears rimane un film costruito secondo i dettami del nuovo cinema indipentente made in USA, ma senza quel tocco di lucida e calcolata follia capace di elevarlo dalla massa indistinta delle commedie di genere.