Hilda è una cameriera irreprensibile, una domestica, una donna di servizio. La sua padrona, la signora Lemarchand, ha bisogno di lei, non solo del suo lavoro, ma anche dell’amicizia, della sua anima e del suo corpo. Tra le due s’instaura un gioco di potere e una sorta di cannibalismo per il possesso. Così Hilda scompare, “divorata” dalla sua padrona che desidera essere uguale a lei per poter esser servita meglio, nell’uguaglianza. Hilda diventa una storia di un’adorazione divorante, nel corso della quale nessuno potrà vantarsi di essere padrone o schiavo, che evoca, con una violenza incredibile, le relazioni di sudditanza sociale ed affettiva fra la signora, istruita e benestante e la sua cameriera da annientare.
La donna di servizio è condannata a non essere né vista né udita. Il destino di Hilda è quello di esistere nei progetti degli altri, padrona, marito o sorella che sia.
In sei scene il suo personaggio diventa enigmatico, emblema della solitudine che la signora indossa, emblema delle insoddisfazioni per una vita piena di rituali formali, senza amore, dominata dal solo valore che conta, il denaro.
“Incontro l’autrice Marie Ndiaye per la prima volta – afferma Beno Mazzone – e ne sono entusiasta per l’invenzione delle sue storie e la musicalità della lingua che mi piace acquisire, anche se la necessaria traduzione in italiano mi impone di reinventarla, quindi di tradire il testo originale, pur rispettandolo. Si può affermare che questa pièce sia stata costruita come una antichissima fiaba, di quelle in cui si dice in profondità qualcosa di essenziale che emerge con una evidenza impressionante fino all’ultima parola”.
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