Un viaggio catartico attraverso la disperazione dei Paesi sudamericani, Hotel Colonial, a distanza di venti anni dalla sua realizzazione, torna sul grande schermo denunciando lo sfruttamento dei popoli poco sviluppati da parte degli occidentali.
La regista Cinzia Th Torrini rivive i suoi esordi al cinema con nuovi amici, assistendo alla proiezione del film del 1986 nella sala Troisi, a Roma, lo scorso martedì 20 giugno. Tra gli ospiti, presenti coloro che contribuirono alla creazione della pellicola: lo sceneggiatore Enzo Monteleone, il direttore della fotografia Giuseppe Rotunno, il truccatore premio Oscar Manlio Rocchetti, la costumista Mariolina Bono e lo scenografo Giantito Burchiellaro.
L’evento celebra il ricordo di un grande attore del cinema italiano Massimo Troisi, unica nota di colore in un film come Hotel Colonial che, nonostante le nobili ambizioni, un cast internazionale e un budget smisurato (sei milioni di dollari nell’86), non raggiunge un livello apprezzabile.
La vicenda umana dei due fratelli veneziani Marco e Luca Venieri, interpretati da due americani John Savage e Robert Duvall, risulta macchinosa e si disperde in fitte peregrinazioni che sviano dal filo conduttore, senza peraltro apportare spunti narrativi esaurienti. I due protagonisti hanno caratteri opposti e inconciliabili: Luca è un ex terrorista che dopo aver tradito i suoi complici si rifugia in Colombia. Marco, l’antitesi del fratello, viene svegliato una notte da una telefonata della cognata che lo avverte dell’assassinio del marito a Buena Ventura.
Armato di buoni propositi nel ricostruire il travaglio che ha portato il fratello a quella fine disperata, Marco parte per l’America Latina. All’ambasciata italiana di Bogotà conosce Irene Costa (Rachel Ward), che inizialmente sembra aiutarlo nel recuperare il corpo di Luca. Ma la figura della donna non è ben delineata e il carattere ambiguo non rivela neppure la funzione narrativa dell’incontro fra i due.
Tuttavia la vicenda si tinge di giallo quando scopriamo che il cadavere in questione non è quello di Luca, probabilmente ancora vivo e nascosto in qualche luogo remoto della Colombia.
La regia sembra tratteggiare l’immagine di una discesa negli inferi da parte di Marco che nella ricerca del fratello si scontra con le difficoltà della vita nell’America del Sud fra miseria, traffici illeciti, pedofilia, prostituzione e sfruttamento dell’ecosistema. “Sotto l’equatore non esiste il peccato” riferisce uno strano personaggio che Marco incontra sul suo cammino, è Roberto Carrasco, il direttore dell’Hotel Colonial, un lussuoso albergo al confine fra Colombia e Perù, un luogo in cui non esiste controllo statale, non c’è polizia, né un apparato governativo e la gente del luogo è succube dello strapotere dei trafficanti di droga.
Lo spietato Carrasco gestisce attività illecite, si intrattiene con minorenni e stermina i bambini indios: questa tragica scoperta apre gli occhi a Marco che riconosce in lui il fratello Luca.
Nella splendida fotografia del film non riusciamo a trovare un coinvolgimento emozionale nonostante la quantità di spunti offerti dalla storia; il ritmo è lento e noioso, e la vicenda mal architetta non vive di colpi di scena. Gli unici momenti di ilarità sono regalati dall’interpretazione di Troisi, un traghettatore del luogo, di origine napoletana, che diviene amico di Marco. La caratterizzazione umoristica del personaggio distoglie lo spettatore dalla tragedia donando momenti di brio e divertimento, ma sembra essere completamente estraneo e fuori luogo in contesto lontano non solo geograficamente.
Resta tuttavia il piacere di rievocare una figura indimenticabile del cinema nostrano che vive nei cuori di amici e parenti presenti per l’occasione alla proiezione di Hotel Colonial. In sala insieme ai familiari di Troisi c’erano Nathalie Caldonazzo, Romina Power, Daniela Poggi, Luca Ward, Beatrice Luzzi e Fioretta Mari.