La riflessione sull’ottavo Comandamento è affidata ad Andrea Tagliapietra, docente all’Università San Raffaele di Milano e a Vincenzo Vitiello, docente all’Università di Salerno.
Tagliapietra concentra il suo intervento in un’analisi dettagliata e densa di riferimenti dei vari livelli di significato del comandamento e delle implicazioni che esso comporta, ne ricorda la sua enunciazione completa che recita «non dire falsa testimonianza contro il prossimo tuo» sottolineandone così la centralità del concetto di «testimonianza» e di «prossimo».
Quest’obbligo si rivela così apertura verso l’Altro (il prossimo) che diviene il fine del mio agire (la testimonianza) e con il quale instaurare una relazione d’Amore.
In questo modo egli evidenzia il ruolo di attività e impegno che questo comandamento suggerisce: la Verità è ciò che non raggiunge mai la sua fine perché deve essere continuamente affermata da ciascuno come compito da conseguire nella vita.
La Verità non è da intendersi come qualcosa di impersonale ma come ciò che impegna ad una responsabilità perché conduce ad essere imitatori di Dio: Cristo come primo testimone della Verità (di Dio) e nel contempo di sé stesso.
Nel infrangere quindi l’ottavo comandamento (nel testimoniare una non-verità) in realtà si infrange il secondo poiché si nomina Dio invano, lo si chiama a testimone del falso.
Su un piano decisamente diverso e più ricco di spunti riflessivi si muove la relazione del professore Vitiello.
Egli si interroga piuttosto sulle condizioni di possibilità dell’essere testimoni di verità: colui che è testimone deve essere sempre al di sopra delle parti, comprendere entrambe le ragioni, essere imparziale.
Ma è possibile non essere e non sentirsi coinvolti?
All’uomo, in quanto essere finito, non è possibile la testimonianza della verità: egli è solo un punto di vista sull’insieme e non ha la capacità di comprendere la totalità dei punti di vista (non è in alcun modo super partes); né a Dio, in quanto Assoluto e Infinito, in quanto egli non è in grado di comprendere la finitezza umana e la parzialità del punto di vista del singolo.
“In verità, in verità vi dico… chi dite che io sia?”: la Verità (Cristo) che interroga sulla propria natura. Ma essa è possibile solo in quanto relativa e mai conclusa, solo come interrogazione ininterrotta e mai come testimonianza diretta, solo come parte di quel Mistero (Dio Padre) che ci trascende, solo come ciò che si vede dell’Invisibile.
La testimonianza si rivela vera solo se contiene in sé la consapevolezza della propria falsità: essa non è tutta la Verità ma ne è solo una parte (accanto alla quale ve ne sono e ve ne devono essere altre).
Questa interpretazione dell’ottavo comandamento, che fa passare attraverso il Mistero e non attraverso la Verità il rapporto con l’Altro è, soprattutto oggi, molto interessante: stare assieme all’Altro è uno stare-accanto e non uno stare-con, noi dobbiamo sempre essere consapevoli del fatto che co-abitiamo in un mondo in cui siamo sempre e comunque ospiti e nel quale non avremo mai fissa dimora.
La propria identità è tale solo accanto alle altre e non contro di esse.
Ognuno di noi si definisce sulla base dell’appartenenza ad una determinata visione del mondo; questa visione definisce ciascuno di noi in quanto essa non è altro che una tra le tante, è il frammento di quel Mistero che ci trascende e del quale non giungeremo mai a possesso.
per ulteriori informazioni Chorus Cultura 041 2750462 info@chorusvenezia.org