I Motus portano a Bologna il loro ultimo progetto: tre episodi di una quadrilogia incentrata sulla storia di Antigone. Tra narrazione e dialogo metateatrale i giovani attori danno vita a tre spettacoli densi di imput emotivi e poetici che non possono lasciare indifferente lo spettatore. Un’esaltazione della contestazione giovanile che risulta particolarmente profetica alla luce degli avvenimenti che stanno sconvolgendo il Nord Africa.
Il progetto Syrma Antigones parte da un fatto di cronaca: nel 2008, durante una manifstazione in Grecia, la polizia uccide Alexis Gregoropoulos, un ragazzo di soli quindici anni che viene lasciato esanime in mezzo alla strada. Questa vicenda ha fatto nascere nella mente di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò un parallelismo con la tragica storia di Polinice, eroe morto in uno scontro contro suo fratello Eteocle. Considerato nemico della patria, il re Creonte comandò di lasciare il suo corpo privo di sepoltura, ma la sorella Antigone ebbe il coraggio di infrangere l’ordine, pagando (almeno nella versione originale) con la sua stessa vita la sua azione.
Il primo “contest”, Let the sunshine in, è un grido di protesta che parte dai giovani: la figura di Polinice è letta alla luce della lotta giovanile per i propri diritti e per un mondo migliore che si scontra contro gli interessi del potere (Creonte) e del suo braccio armato. In un dialogo immaginario tra Antigone e Polinice, vengono portati alla luce i motivi della ribellione agli ordini del re. La lettura dei registi colpisce non solo per l’operazione drammaturgica, ma anche (e soprattutto) per la sua realizzazione scenica: lo spettacolo all’aperto permette di interagire in maniera efficace con lo spazio che circonda il teatro (e il parco antistante Teatri di Vita offre una scenografia naturale di grande suggestione). Inoltre, la disposizione centrale del pubblico, con l’azione che si svolge contemporaneamente ai due lati, costringe lo spettatore a spostare continuamente la sua attenzione da una parte all’altra, dando vita ad effetto che riprende il montaggio alternato cinematografico.
Too late!, il secondo e il meno riuscito dei tre spettacoli, studia invece il rapporto del singolo con il potere, ma né la grande capacità recitativa degli interpreti, né i richiami pasoliniani scritti sul corpo di Silvia Calderoni riescono a dare vita a qualcosa che vada oltre le studiate suggestioni sceniche, le quali risultano così spesso fini a loro stesse. Questa volta lo spazio chiuso in cui attori e pubblico sono rinchiusi fa nascere un senso di claustrofobia che rimanda alla maglia sotto la quale il potere, qualunque esso sia, ingabbia i sudditi. Le diverse facce del potere sono rappresentate con un abile gioco di maschere sovrapposte e con una reiterazione degli avvenimenti che spezza il flusso narrativo: Creonte viene fatto morire due volte, prima ucciso da un colpo di pistola e poi da un infarto come in un gioco di creazione alla ricerca del migliore effetto scenico.
La conclusione della tragedia, volutamente lasciata in sospeso, è costituita dall’ultimo “contest”, intitolato Iovadovia. La creazione di quest’ultimo spettacolo è partito dall’interrogativo assillante circa la necessità della morte della protagonista Antigone a punizione del suo gesto. Qui la suggestione maggiore parte dall’abile connubio di teatro e tecnologie multimediali: la protagonista è chiusa per la maggior parte del tempo dentro una tenda da campeggio, luogo dal valore ambivalente di intimità dell’io e di sepolcro, e lo spettatore può vedere quanto avviene attraverso una telecamera che riprende l’interno e lo proietta su un telo rotondo posto a mezz’aria al centro del palco (la sua forma rende la visione della proiezione simile a quella attraverso il buco di una serratura, rendendo il pubblico simile ad un voyeur). La presenza invece di un cane in scena, invece, risulta insbiegabile e non giustificabile se non come un altro espediente per aumentare la suspence in chi guarda. Non mancano ad ogni modo gli aspetti più che positivi e l’interpretazione di Silvia Calderoni, fil rouge dell’intero progetto, unita alla voce di Gabriella Rusticali creano un’atmosfera che non può che attrarre lo spettatore.
Syrma Antigonis, nonostante l’indipendenza narrativa di ogni rappresentazione dalle altre, appare chiaramente come un percorso unitario che si presenta omogeneo tanto nelle tematiche affrontate quanto nelle soluzioni sceniche sperimentate. L’uso abbondante delle nuove tecnologie in scena, dall’iPod alla videocamera digitale, più l’amplificazione costante della voce attraverso microfoni, permettono la creazione di effetti sonori che non schiacciano la performance degli interpreti, ma al contrario ne esaltano le abilità.
Gli attori entrano ed escono continuamente dal personaggio, dando vita ad un gioco metateatrale che dà allo spettatore l’illusione di avere davanti agli non un prodotto finito, ma uno spettacolo in fieri.
Il nudo (più o meno integrale) spesso presente in scena è l’aspetto meno riuscito dello studio rappresentativo dei Motus: spesso non ha alcuna giustificazione e appare come la manifestazione di una volontà di rompere schemi morali.
Un aspetto peculiare della produzione di Casagrande e Nicolò consiste nel rapporto particolare che cercano di instaurare costantemente con il loro pubblico: interpellati, scioccati o provocati, agli spettatori non è concesso di rimanere seduti passivi nelle loro sedie, ma diventano loro stessi parte integrante di quel rito civile che è il teatro.
Le citazioni delle versioni dell’Antigone fatte da Brecht e dal Living Theatre, unite all’omaggio a Pier Paolo Pasolini, manifestano chiaramente la matrice originaria della compagnia e la linea poetica che ne muove la produzione artistica: i Motus, che sono nati nei collettivi univeritari e che hanno mosso i loro primi passi nel circuito dei centri sociali, non hanno perso la loro carica rivoluzionaria e “antagonista”, ma la loro sete di rinnovamento si riflette chiaramente tanto nei temi affrontati quanto nelle innovative modalità sceniche che potrebbero (e si spera potranno) costituire, se sfruttate a pieno, un felice punto di non ritorno all’interno del panorama teatrale italiano.
SYRMA ANTIGONIS A TEATRI DI VITA DI BOLOGNA DAL 23 AL 25 MARZO
23 Marzo: “Let the sunshine in” con Silvia Calderoni e Benno Steinegger, ideazione e regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, drammaturgia Daniela Nicolò, ambito sonoro Andrea Comandini, produzione Motus. Durata 60 minuti
24 Marzo: “Too late!” con Silvia Calderoni e Vladimir Aleksic, ideazione e regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, drammaturgia Daniela Nicolò, ambito sonoro Andrea Comandini, produzione Motus. Durata 55 minuti
25 Marzo: “Iovadovia” con Silvia Calderoni e Gabriella Rusticali e la partecipazione di Bilia, ideazione e regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, drammaturgia Daniela Nicolò, ambito sonoro Andrea Comandini, produzione Motus. Durata 55 minuti
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