Lunedì 18 febbraio al PalaArrex di Jesolo si è svolta la prima delle due date italiane invernali dei Sigur Ros, la più nota band islandese degli ultimi decenni.
Dopo la trionfale esibizione settembrina al Castello Scaligero di Villafranca, il palasport ha raggiunto il tutto esaurito (cinque mila posti).
Il palazzetto, tuttavia, non è poi così affollato. Il concerto inizia puntuale alle nove e mezzo. Il palco, impacchettato ad hoc da teli semitrasparenti che ricoprono i tre lati del palco, sembra un cubo magico, sul quale viene proiettato uno psichedelico gioco di luci e ombre.
Al quarto brano le “tende-doccia” scendono, e i Sigur Ros si presentano al pubblico. Oltre alla già collaudata idea delle lampadine, a dominare il palco è un enorme pannello LCD. La scenografia, essenzialmente, trasmette al pubblico quel mix di calore e glacialità tipico della loro musica.
Nei sedici pezzi proposti emerge la personalità del cantante Jonsi: emozionante col suo falsetto e col bizzarro modo di suonare la chitarra (distruggendo un archetto). La caratteristica principale della band è la presenza di abbondanti parti oniriche e dilatate, nelle quali fiati e archi aiutano a creare un’atmosfera intimista e delirante.
Dopo un paio di canzoni, comunque, il concetto è chiaro: tre minuti di menata che esplode in un crescendo di chitarra distorta e piatti (finalmente!) di batteria. Nella maggior parte delle canzoni, la struttura rimane uguale. Non accade mai nulla di sorprendente: tutto è già stato scritto e previsto.
E’ uno spettacolo, tutto sommato, in linea retta. Senza capo né coda.
Che si tratta di un concerto anomalo è evidente dai piccoli dettagli: Jonsi emette la prima parola dopo un’ora e cinque minuti dall’inizio del concerto; a tratti si riesce persino sentire gli starnuti e gli “sbacciucchiamenti” degli spettatori sugli spalti; si riesce a stare in piedi, fermo sullo stesso punto, senza mai essere sfiorato dalle persone circostanti per tutta la durata dello spettacolo. Nonostante questi aspetti, la calorosa ovazione piovuta addosso alla band a fine concerto testimonia il grande affetto del pubblico italiano nei loro confronti.
Quello dei Sigur Ros non può essere considerato un concerto. O almeno non può essere considerato con gli occhi e i parametri di giudizio abituali.
Sarebbe cosa buona e giusta se prima dell’esibizione della band fossero distribuite delle bende nere per occultare la vista dello spettatore, e dei materassini dove potersi gustare lo spettacolo sdraiati a terra. Non è uno scherzo.
Per cogliere l’essenza dei Sigur Ros, il pubblico ha il compito d’immedesimarsi “islandese”: deve cancellare i propri pensieri, le proprie ansie e preoccupazioni di tutti i giorni, affinché si possa godere, in maniera rilassata, la delicatezza delle atmosfere sigurrossiane.
Proporre il sound di una band islandese a noi italiani-occidentali-frenetici significa proporre del seitan appena affumicato a degli amanti della cucina messicana: risulta insapore.
Quando si assiste a un concerto dei Sigur Ros, quindi, si deve ritornare per forza bambini e saper stupirsi delle piccole cose: si deve ritrovare l’ingenuità fanciullesca. Quell’ingenuità che ci fa chiedere perché il cielo è azzurro, perché le nuvole si muovono e cosa c’è dopo la morte. Se siamo in grado di fare ciò, allora sì che i Sigur Ros ci tenderanno la loro mano.
Scaletta concerto:
Yfirborð
_ í Gaer
_ Vaka
_ Brennisteinn
_ Sæglópur
_ Olsen Olsen
_ Fljótavík
_ E-bow
_ Varúð
_ Hoppípolla
_ Með Blóðnasir
_ Kveikur
_ Glósóli
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Svefn-g-englar
_ Hrafntinna
_ Popplagið