“I am” di Dorata Kendzierzawska

La regista polacca alla Berlinale

Il quarto lungometraggio dell’autrice polacca Dorata Kendzierzawska è stato giustamente, ma in modo un po’ penalizzante, inserito nel Kinderfilmfest, la sezione dedicata alla produzione per i ragazzi, vale a dire una sorta di “Giffoni” all’interno della Berlinale adulta. Non che tematicamente questa pellicola non legittimi tale scelta, ma l’interesse particolare che chi scrive nutre per l’opera coerente e coraggiosa della quarantanovenne di Lodz lo spinge a dedicare almeno qualche riga a quello che è al momento il suo film più curato ed “internazionale” (basti pensare alla musica scritta appositamente da una star come Michael Nyman).

Non che si voglia salvare dall’oblio o dalla retrocessione a film per bambini questo I am (“io sono”, dall’affermazione semplice e perentoria del piccolo protagonista in chiusura di film), ma perché se in Polonia continuano a svilupparsi talenti interessanti, riteniamo nostro dovere settoriale farne accurato rapporto. La Kendzierzawska non è del resto totalmente ignota al pubblico internazionale: con i suoi precedenti Diavoli, diavoli, Le cornacchie e Niente ha già raccolto una messe non indifferente di premi in numerosi festival internazionali, in Italia ne abbiamo parlato nella rivista Ciemme (numero 149), per poi presentare la sua “opera omnia” al festival fiorentino No Dogma International Film Festival nell’agosto 2005 (grazie al meritevole lavoro del collega Lorenzo Pompeo).

La regista polacca si occupa con continuità (potremmo quasi dire, con “monotematicità”) dell’infanzia rubata e problematica, senza che per questo motivo il suo lavoro si appiattisca su piagnistei sociologici o quadri freddamente documentari di bimbi abbandonati in quartieri di periferia o vittime dell’incomprensione degli adulti. Lo sguardo della Kendzierzawska è sempre vivamente artistico, che si tratti di osservazione lirica ed attonita di ragazzi solitari in un mondo quasi indifferente (come nei suoi primi lungometraggi), o delle difficoltà familiari di una giovane donna umiliata dal marito (come nel breve e visivamente virtuoso Nulla): come si è già detto però, il merito della nostra sta nel non limitarsi né al cinema favolistico per i più piccoli, né tanto meno a toni aggressivi di rivalsa, perché anzi i suoi sono film sulle donne non-femministi, film sui bambini non-infantili. In questo la sua visione cinematografica è sostenuta (fino a diventare un tutt’uno) dal talento visivo del marito e direttore della fotografia Arthur Reinhart, i cui filtri a volte estremi e la cui liricità estetizzante forse a volte distraggono lo spettatore con “troppa bellezza”.

Questo Io sono è la storia, ispirata alla realtà, di un undicenne che vive solitario in una barca abbandonata; lungi dall’essere una storia romantica ed avventurosa di ribelli alla Huckleberry Finn (e senza neanche virare nel dickensismo) la vicenda del giovane “Mongrel” è un’esperienza lieve e dolorosa al tempo stesso di ricerca di un ubi consistam: rifiutato da una madre dissennata, malvisto dalle persone “normali”, il ragazzino è osservato nelle altalenanti fasi di sconforto quasi cosmico e di momentaneo recupero di fiducia nel mondo grazie ad una giovane amica. L’essenzialità della trama, l’intenzionale impressionismo della sceneggiatura e gli accenti posti sulla resa dei giovani interpreti sono sostenuti da uno sguardo mai scontato della macchina da presa e da un uso a tratti deformante e simbolico della luce e dei colori autunnali.

Come ha tenuto a sottolineare la regista in sala, rispondendo al fuoco di fila degli interrogativi di un pubblico giovanissimo ed attento, la pellicola non aspira ad essere letta come denuncia sociale (a sentire l’autrice in Polonia il problema descritto sarebbe statisticamente secondario), quanto piuttosto a farsi trattazione psicologica delle capacità puramente esistenziali (come da titolo) di un bambino posto in condizioni estreme. Una storia di sopravvivenza senza appiccicaticcio lieto fine e privo di overlook consolatorio. Duro ma poetico, graffiante ma non polemico, un film che, non abbiamo alcun dubbio, avrebbe da dire la sua anche nella distribuzione delle sale italiane.