I film di apertura e chiusura della sezione orizzonti di Venezia 64.

"Sad Vacation" di Aoyama Shinji è il film di apertura di Orizzonti, "Médée Miracle" di Tonino De Bernardi è il film di chiusura di Orizzonti (Fiction), "Kagadanan sa banwaan ning mga engkanto (Death in the Land of Encantos)" di Lav Diaz è il film chiusura di Orizzonti (Doc)

Sad Vacation di Aoyama Shinji (Giappone), protagonista del rinnovamento del cinema indipendente giapponese, è il film di apertura di Orizzonti della 64. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, in programma al Lido dal 29 agosto all’8 settembre 2007, diretta per il quarto anno da Marco Müller e organizzata dalla Fondazione La Biennale di Venezia, presieduta da Davide Croff. Médée Miracle di Tonino De Bernardi, prodotto ed interpretato da Isabelle Huppert, due volte Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile, nel 1995 e nel 1988, e Leone Speciale per il suo straordinario contributo dato al cinema nella 62. Mostra di Venezia, e Kagadanan sa banwaan ning mga engkanto (Death in the Land of Encantos) di Lav Diaz (Filippine), uno tra i nuovi autori più sorprendenti del cinema del Sud-Est asiatico, sono rispettivamente i film di chiusura di Orizzonti (Fiction) e di Orizzonti (Doc).

Il film di Aoyama Shinji, una delicata e dolorosa riflessione sui legami di sangue tra una madre e i suoi due figli, sarà presentato in anteprima mondiale nel concorso Orizzonti (Fiction). Il film di Tonino De Bernardi, storia di una Medea contemporanea di banlieu che si chiama Irene e non riesce a uccidere i figli, sarà presentato nel concorso Orizzonti (Fiction), sempre in anteprima mondiale. Il film documentario di Lav Diaz, una lunga ed approfondita analisi sulle conseguenze apocalittiche del tifone Reming, che il 30 novembre 2006 si è abbattuto sulle Filippine, sarà presentato in anteprima mondiale nel concorso Orizzonti (Doc).

Sad Vacation, interpretato da Tadanobu Asano, Aoi Miyazaki, Joe Odagiri, Ken Mitsuishi, Eri Ishii, narra la storia di Kenji, un ragazzo che sopravvive grazie a lavori casuali e facendo da autista agli avventori ubriachi di un locale. Kenji non ha ancora superato il dolore per essere stato abbandonato in giovane età dalla madre, e per aver perso il padre, morto suicida. Nonostante l’amarezza e la disillusione, prova grande compassione per la sorella di un suo amico di vecchia data, ora in carcere, e per un immigrato clandestino, decidendo di prendersi cura di entrambi. Ma la sua esistenza cambierà radicalmente una sera quando, riaccompagnando a casa Mamiya, il proprietario di un servizio di spedizioni e consegne, riconosce nella compagna dell’uomo, Chiyoko, sua madre. Mamiya, che traduce i suoi affari in una vera e propria istituzione per reinserire ex detenuti nella società, per aiutare chi non riesce a trovare un impiego dignitoso a causa di un passato criminale, cerca di coinvolgere subito Kenji nei suoi progetti. Questo permette al ragazzo di preparare un piano per affrontare la madre e riuscire finalmente a fare i conti col proprio passato. Nonostante Mamiya e Chiyoko abbiano un figlio adolescente, Yusuke, quando viene scoperta la vera identità di Kenji, l’indole onesta di Mamiya non può che far aumentare la sua fiducia nel ragazzo. Sotto i sentimenti di rancore, disagio, sconforto che maturano tra Kenji, Yusuke e Chiyoko, i protagonisti si renderanno conto che i legami di sangue sono più forti, poiché dominano le loro esistenze. Questo li porterà ad interrogarsi sul potere dei rapporti familiari, su che cosa definisca una madre come tale, su quale sia il livello di libertà.

“Come un giocatore di calcio non può dire nulla sulla partita che si sta disputando e che non ha ancora un vincitore” ha dichiarato Ayoama, “un regista, mentre sta girando un film, non ha le parole per spiegarlo”. Secondo l’autore Sad Vacation, proprio per le problematiche affrontate e per lo stile con cui le rappresenta, non può essere descritto o esaurito a parole, poiché il discorso su di esso diventerebbe irrimediabilmente una menzogna, dal momento che la magia e la bellezza verrebbero perse.

Aoyama Shinji, nato nel 1964 a Fukuoka, in Giappone, si avvicina al cinema durante gli anni dell’università a Rikkyô (Tôkyô) dove frequenta i corsi di letteratura americana. I suoi primi esperimenti in 8mm sono profondamente influenzati dalle lezioni del critico cinematografico Hasumi Shigehiko, tanto che lo stesso Aoyama ha più volte dichiarato che ciò che ha appreso da Hasumi non è solo una concezione di cinema ma una vera e propria visione della vita da esprimersi attraverso un approccio concretamente materialista, dove al centro della sua attenzione ci sono le relazioni tra gli esseri umani, ovvero i corpi. Dopo aver lavorato come critico cinematografico e come aiuto regista di Kijoshi Kurosawa, Frederick Frederickson e Daniel Schmid, esordisce con Helpless nel 1996, che viene invitato ai Festival di Toronto, Vienna e Torino. Dopo Chinpira (Chinpira: Two Punks, 1996), Wild Life (1997) e Tsumetai chi (An Obsession, 1997), nel 2000 Yûreka (Eureka) è in concorso al Festival di Cannes dove vince il Premio FIPRESCI. Nuovamente a Cannes nel 2001 con Tsuki no sabaku (Desert Moon), dopo aver girato Reikusaido mada kesu (Lakeside Murdercase, 2004), tornerà nella città francese con Eli, Eli, rema sabachtahni? (My God, My God, Why Hast Thou Forsaken Me?) nel 2005, vincendo il premio per Un Certain Regard e il Premio Age d’Or al Royal Belgian Film Archive. Nel 2006 è in concorso nella sezione Orizzonti alla 63. Mostra di Venezia con Kôrogi (Crickets), acclamato dalla critica.

Médée Miracle è una rivisitazione del mito di Medea in chiave contemporanea. La tragedia di Euripide è stata spesso messa in scena a teatro e al cinema, di cui si ricorda in particolare la versione che Pier Paolo Pasolini realizzò nel 1969 con Maria Callas, ogni volta con interpretazioni diverse. Medea che uccide i figli per liberarsi dal giogo maschilista di Giasone, che la tiene legata a sé proprio attraverso la prole, oppure l’infanticidio come atto estremo di trasgressione, di superamento del divieto, che porta dunque ad una dimensione sacrale, irrazionale, inconoscibile, nella visione pasoliniana-batailliana. Tonino De Bernardi, invece, con una Medea delle banlieu, ruolo fortemente voluto dall’interprete Isabelle Huppert, anche coproduttrice del film, ne mostra un volto nuovo, le dona una possibilità di redenzione. Medea, che nel film si chiama Irene, non riesce ad uccidere i figli. Attraversa quindi una violenta crisi, quasi mortale, che invece sarà la sua salvezza e il suo motivo di riscatto, poiché riuscirà a convertire il suo desiderio di violenza in una vita di completa dedizione agli altri. A tal proposito la Huppert ha dichiarato: “Mi ha colpito molto questa Medea-Irene che riscatta le pulsioni negative trasformandole in gesti altruistici, vincente perché riesce a soffocare dentro di sé l’impulso alla vendetta”. De Bernardi, con uno stile originale e personalissimo, da sempre affronta argomenti controversi e stratificati. Le sue tematiche spaziano dall’indagine della donna come individuo e come genere, a quella della marginalità e dei sentimenti, dallo studio delle relazioni, al rapporto tra la vita e la morte, dal tempo esperito nel suo fluire e nella coesistenza di presente, passato e futuro, alla commistione tra reale e immaginazione, tra sonno e veglia. Coraggiosamente costruisce una sua poetica senza scendere a facili compromessi narrativi. Nelle sue parole: “Non amo essere troppo esplicito perché stimo il pubblico. Cerco un modo nuovo di narrare, fuori da quello sancito dalle convenzioni. È un dovere morale credere in forme linguistiche diverse ed esplorare le strade meno conosciute di sé e del mondo”.