Il romanzo più importante della letteratura italiana, ‘I promessi sposi’, potrebbe essere riassunto con un’unica espressione che Manzoni attribuisce a Lucia: Lucia, la sventurata. Sventurata perchè tutto il romanzo si costruisce sull’esperienza del mondo che questi due poveri anonimi, Renzo e Lucia, sono costretti a fare senza capire il perché delle azioni.
Lucia è sventurata perché è costretta a fare l’amara conoscenza del mondo in cui si riproduce il Male intrinseco nella storia. Ella è costretta ad abbandonare il suo paesino, guscio protettivo in cui è una come tante, un’anonima ragazza senza esperienze. Un giorno un signorotto locale, che crede di poter ottenere tutto quello che vuole perchè lui è un uomo di mondo e i sui sudditi sono dei poveri di spirito, decide che deve possedere anche Lucia. Così senza avere alcuna colpa Renzo e Lucia si ritrovano a dover imparare a vivere in un mondo difficile perchè dominato dal Male. Potranno considerarsi in salvo quanto torneranno, sul finale del romanzo, nella loro quieta e protettiva anonimicità.
Il vortice del Male viene rappresentato nel corso del romanzo da personaggi diversi: i bravi, Don Rodrigo, la monaca di Monza, l’Innominato e la peste.
Anonimato contro il Mondo come espressione più alta del male e della violenza che si manifesta in piccoli e quotidiani gesti: i bravi che impediscono un matrimonio, un omicidio per un diritto di passaggio (la vicenda di Fra Cristoforo), una padre che impone la vita monastica alla figlia, i potenti che assistono incuranti e incapaci al dilagare della peste.
Uno scenario grandioso in cui si muovono dei personaggi tremendamente umani come la Monaca di Monza o Don Abbondio. Nella descrizione della Monaca di Monza, Manzoni carica il personaggio di alcuni elementi realmente sensuali, la bocca rossa e gli occhi vivi che mutavano espressione continuamente, per dimostrare come, al confronto della modesta bellezza di Lucia, sia lei la vera donna del romanzo. Sensuale, conscia della propria bellezza mai dimenticata, si innamora di un balordo e amazza una suora che aveva scoperto la tresca. La bellezza è competizione, sembra dire Manzoni, ed è per questo un esempio di violenza. Ma continuerà ad essere chiamata La Signora e rimane uno dei personaggio più belli del romanzo. E poi Don Abbondio, che dire di questo perfetto esempio della piccolezza umana? Vaso di coccio tra vasi di ferro, così lo descrive Manzoni, ha l’ignavia come caratteristica principale. Egli ha paura dei bravi, ma anche del Cardinale Borromeo, vuole continuare a vivere la sua routine senza problemi e per questo dice che Lucia è nata per essere la sua croce. Non si fida di nessuno e non crede nella conversione dell’Innominato nè nella morte di Don Rodrigo fino a quando non vedrà il nipote del signorotto occupare il castello. E allora, in modo totalmente laico, ringrazierà la peste che è stata una scopa.
Tuttavia non bisogna dimenticare che la vicenda che narra Manzoni è verità storica e per questo la Colonna Infame in appendice sembra dire al lettore di riflettere su quanto può sbagliare l’uomo. Due uomini, Piazza e Mora, vengono uccisi per una credenza, quella di essere untori e nessun giudice si prende la briga di controllare se le accuse siano fondate o no.
E il Male trionfa ancora una volta.