“IL CINEMA SECONDO HITCHCOCK” DI Francois Truffaut

La finestra sul set

Il celebre regista francese dialoga col maestro del brivido cinematografico in un sorprendente libro-intervista.

Negli anni ’60 Hitchock aveva già realizzato i suoi film più conosciuti ma non veniva considerato dalla critica che relegava ingiustamente la sua filmografia nei ristretti e semplicistici confini del genere suspance.
Francouis Truffourt, creatore francese della Nouvelle Vague, era di tutt’altra opinione, scorgendo nei film del cineasta londinese un’ assoluta padronanza del linguaggio e delle tecniche cinematografiche: egli fu infatti tra i primi a considerare Alfred Hitchock un maestro.
Questo libro nasce proprio dalla volontà di Truffourt di riabilitare il regista britannico agli occhi della critica cinematografica.

Attraverso una lunga intervista, registrata nell’agosto del 1962 presso gli studi Universal, i due grandi cineasti ripercorrono, passo dopo passo, l’intera filmografia hitchicockiana: come è nata l’idea di ogni film, come è stata costruita la sceneggiatura, quali sono stati i problemi di regia, quali i risultati attesi e poi, di fatto, realizzati. Il quadro che ne esce è avvincente e particolareggiato.
Più che di un’intervista ci si trova partecipi di un dialogo, una conversazione amichevole tra due appassionati cinefili, prima ancora che cineasti, che parlano per ore del loro argomento preferito: il cinema. La loro conversazione verte spesso sui problemi di carattere tecnico: “Come sei riuscito a realizzare sullo schermo quel particolare effetto?” – “Ho ruotato la cinepresa in questo modo….”. La conversazione prosegue sempre liberamente, come un flusso naturale e spontaneo e tocca anche argomenti più generali o più spiccatamente autobiografici, come ad esempio la concezione di Hitchock dell’eros, il valore del sogno, l’importanza di dare al pubblico l’emozione.

In questo libro-intervista il regista inglese parla molto del suo modo di fare film e svela anche molto di se stesso.
Per esempio, il famoso tema dell’uomo innocente accusato ingiustamente di un crimine non commesso, presente in film come Intrigo Internazionale o anche Caccia al Ladro , solo per citarne alcuni, nasce da una paura incondizionata, da parte del regista, della polizia.
E le interpreti femminili, sempre volutamente bionde, algide e altere (un esempio su tutte può essere Grace Kelly) incarnano, secondo il cineasta, una sensualità sottile e conturbante proprio perché controllata, non sfacciatamente esibita.
Un altro aspetto molto interessante della filmografia di Hitchock, è trovare in molti dei suoi protagonisti una sorta di ambiguità morale. Spesso l’autore esibisce eroi disonesti o affetti da qualche patologia: James Stewart in La finestra sul cortile è chiaramente un guardone, Janet Leight in Psyco è una ladra, Tippi Hedren in Marnie è una cleptomane. Perché? Sono espedienti, secondo il regista, per far aumentare la suspance. Si tratta di indirizzare l’attenzione dello spettatore verso false piste, in modo da sorprenderlo e terrorizzarlo in un momento per lui inaspettato, esibendo improvvisamente un altro risvolto, ancora più imprevedibile, della storia.
Due in particolare sono le espressioni utilizzate da Hitchock per descrivere il suo modo di fare film: “caricare di emozione” e “riempire la tappezzeria”. Guidato dalla volontà personale di rappresentare un’idea ritenuta particolarmente interessante, in tutta la sua forza e drammaticità, il regista procede per eliminazione, elimina cioè di volta in volta dalla sceneggiatura, quelle che lui chiama le “macchie di noia”, arrivando, a forza di correzioni, a esprimere sue personali visioni. Questo è uno dei motivi fondamentali per cui la filmografia di Hitchock, pur essendo, secondo la volontà dello stesso regista, dichiaratamente rivolta a un pubblico di massa, non può essere di certo definito commerciale: la personalità e la maestria del regista inglese sono sempre presenti, in ogni inquadratura.

Parlando del suo modo di fare cinema Hitchock stesso dice: “Un film circola nel mondo intero. Esso perde il quindici per cento della sua forza quando è sottotitolato, il dieci per cento soltanto se è ben doppiato, mentre l’immagine rimane intatta anche se proiettata male. E’ il suo lavoro che viene mostrato, lei è al sicuro e si fa capire nello stesso modo in tutto il mondo.” L ’idea personale che il regista ha concepito e ha voluto rappresentare sullo schermo, si manifesta così, a tutti gli spettatori, attraverso il film, compiuta e visibile nella sua forma e nella sua essenza, oggettivamente.

F. Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Nuova Pratiche Editrice, Milano, 2007, 311 pp., € 9.90.