IL COLLASSO DEI MUSEI CIVICI

Conferenza di Paolucci per l’Associazione Italia Nostra

La conferenza di Italia Nostra tenutasi nella Facoltà di Scienze Umanistiche a Bergamo è stata una preziosa occasione per far luce su alcuni problemi che affliggono le piccole pinacoteche civili come l’Accademia Carrara bergamasca. La conferenza esula dal mero campanilismo per inglobare aspetti di portata nazionale: l’imbarbarimento della sensibilità artistica in Italia, i problemi che affliggono piccoli (e grandi) musei e le scelte gestionali che possono avvicinare il pubblico alle mostre in maniera più consapevole e meno amatoriale.

E’ da ben 50 anni che l’Associazione Italia Nostra lotta per la conservazione e la salvaguardia dei beni culturali autoctoni, un lavoro che ha avuto come elemento propulsivo la volontà di diffondere una “cultura della conservazione” volta a sensibilizzare sia lo Stato –attraverso la richiesta di sostegni economici e legislativi che tutelino il patrimonio italiano- sia i cittadini –mediante conferenze che espongano ai non addetti ai lavori e agli appassionati i reali problemi che affliggono il patrimonio artistico di casa nostra- sul presente e il futuro dei beni italiani. Il raggio d’azione di questa associazione copre una vasta serie di beni nazionali, che vanno dai musei agli archivi storici, al paesaggio urbano –vittima quest’ultimo di un’intensissima speculazione edilizia che ha registrato aumenti esponenziali a partire dagli anni ’50 del nostro secolo- ai parchi nazionali fino ad arrivare all’agricoltura e ai trasporti. La conferenza, tenutasi sabato 24 febbraio nella Sala Conferenza della Facoltà di Scienze Umanistiche, si è occupata specificamente dei problemi esistenti nella pinacoteca dell’Accademia Carrara ma hanno toccato tematiche difficili che interessano non solo la pinacoteca bergamasca ma anche i musei di tutta Italia, fornendo un interessante quadro della situazione nazionale a partire dal microcosmo lombardo. Durante l’incontro è stato quindi possibile focalizzare il ruolo del museo nel contesto italiano, i suoi problemi e relative soluzioni prendendo in esame tre aspetti principali: allestimento del museo, funzioni e forme di gestione.

Cicerone di eccezione Antonio Paolucci, sovrintendente del Polo museale fiorentino ed ex ministro dei beni culturali, che ha saputo esporre con chiarezza i problemi vigenti nel sistema e mantenere costante il livello d’interesse grazie ad un’ammaliante esposizione che sapeva raggiungere anche toni di piacevole informalità. Per meglio introdurre i presenti nel cuore del convegno Paolucci propone un raffronto tra due musei “prototipo” e la scelta ricade sugli Uffizi e la Galleria Borghese di Roma. Il museo fiorentino preso in esame dal punto di vista dell’allestimento si contraddistingue per l’impronta cronologico-didattica che non sembra entusiasmare un profondo conoscitore d’arte come Paolucci: la disposizione delle opere sembra ricalcare i tediosi manuali di storia che ripropongono excursus temporali di artisti e relativi lavori, oltre che raggruppamenti dei capolavori in scuole e generi. Si tratta di una strategia d’allestimento finalizzata meramente all’insegnamento che difficilmente potrebbe entusiasmare i profani del settore, senza nulla togliere ai vantaggi divulgativi –come riconosce Paolucci- che comporta questa scelta d’organizzazione, la quale può suggerire una chiave di lettura ai non esperti e guidarli all’interno dell’esposizione. Decisamente più apprezzato da Paolucci il <<meraviglioso disordine>> della Galleria Borghese o di Palazzo Pitti: nella Reggia fiorentina vediamo accostati quadri di autori non coevi, come ad esempio Tintoretto e Mighelangelo, in un amalgama di bellezza ed estetica svincolata dalle logiche didattiche che regolano gli Uffizi. Attraverso questo raffronto Paolucci cerca di proporre una sinossi delle scelte amministrative oggi vigenti nel suolo italiano e ragionare, a partire da esse, sul rapporto spettatore/pubblico e su come i visitatori considerano al giorno d’oggi il museo.

Davvero la sola didattica può essere a vantaggio dell’apprendimento dello spettatore e quanto il godimento estetico è davvero considerato la causa dell’intensissima affluenza registrata nei musei principali negli ultimi decenni? Sono numerosissimi, infatti, i visitatori che ogni anno si accalcano all’ingresso della Galleria degli Uffizi, tanto che allo stato attuale il loro numero ha raggiunto il livello massimo consentito dal museo: si sta parlando di dati impressionanti che si aggirano attorno alle 1.500.000 persone l’anno. La situazione è molto diversa rispetto a 70 anni fa quando il museo fiorentino accoglieva annualmente 50.000 ospiti, ossia trenta volte meno rispetto ai giorni d’oggi: in questi ultimi anni i grandi musei sono saturi e i visitatori sono a crescita zero vista l’impossibilità dei locali di sopportare una crescita maggiore di turismo. L’enorme fiumana di gente che si accalca al di fuori di S.Pietro o di Palazzo Pitti –definita da Rutelli “turisdotto”- potrebbe rappresentare una testimonianza visiva dell’interesse che l’arte italiana oggi suscita sia tra turisti stranieri che italiani ma le conclusioni affrettate spesso non riportano risultati affidabili. Per rendersi conto di questo errore di valutazione basta dare un occhiata a musei civici minori che sono immancabilmente deserti, come la pinacoteca dell’Accademia Carrara a Bergamo; importante sottolineare come l’appellativo “minore” non significhi necessariamente “di minore importanza”: prendiamo ad esempio il museo Borgogna di Vercelli -seconda pinacoteca in Piemonte dopo la Galleria Sabauda per quantità e qualità dei pezzi esposti, tra i quali alcuni dipinti di Bernardino Luini e i grandi dell’arte barocca come Ludovico Caracci e Carlo Maratta solo per citarne alcuni- o la stessa Accademia Carrara –in possesso di alcune opere di artisti del calibro di Pisanello, Botticelli, Giovanni Bellini, Mantenga e Raffaello. Paolucci cerca di dimostrare come enorme affluenza dei grandi musei e la necrosi di quelli minori sono le facce di una stessa medaglia: il cattivo ed inefficace rapporto del pubblico con l’arte.

Quest’ultima affermazione sembrerebbe contraddittoria confrontata con i dati citati poco prima -relativi ai visitatori annui degli Uffizi- ma Paolucci scioglie questo paradosso proponendo ai presenti una semplice domanda: <<Chi di voi presenti conosce la mitografia greca o sa distinguere l’immagine di una Resurrezione da una Trasfigurazione?>>. Dopo una prolungata pausa Paolucci prosegue: <<Al giorno d’oggi la popolazione non ha familiarità con queste tematiche che, in verità, sono alla base dell’arte occidentale. E’ un bagaglio culturale che col tempo è stato perduto ma che in passato faceva parte integrante della vita dei singoli cittadini, grazie soprattutto all’insegnamento scolastico e religioso, basti pensare alla funzione catechizzante delle omelie: oggi la sensibilità nei confronti del mito e del sapere religioso si è perso e così sono venuti a mancare gli strumenti atti a capire e cosa si sta guardando quando si è di fronte ad una Resurrezione o una Trasfigurazione>>.

Per questo motivo, nonostante l’apprezzamento estetico del <<meraviglioso disordine>> di Palazzo Pitti, Paolucci sottolinea l’importanza di una didattica efficace all’interno dei musei italiani e per trovare delle soluzioni che possano rendere la didattica il più convincente e meno scolastica possibile suggerisce di volgere lo sguardo oltreoceano, a musei come il Moma o il Metropolitan che riescono a trasmettere ai visitatori poche ma fondanti nozioni per capire le opere esposte, dimostrandosi anche un ottimo mezzo per unificare ideologicamente popoli di diversa cultura. Una domanda però non trova ancora risposta: qual è motivo che spiega questi 1.500.000 visitatori l’anno alla galleria fiorentina e i disastrosi numeri dei musei minori? Paolucci allora introduce un altro aspetto fondamentale: <<I costi di gestione di un museo sono esorbitanti e non possono essere coperti dal solo prezzo del biglietto, infatti i beni culturali, assieme sanità e all’istruzione, sono settori che non possono che essere in perdita. Per andare incontro a questi problemi economici dagli anni ’90 il costo del biglietto d’ingresso è aumentato di 80 volte, raggiungendo i costi delle sale cinematografiche e slittando da luogo dell’identità e dell’orgoglio nazionale a semplice momento di evasione. Attorno al museo si è creata una logica barbaramente consumistica che già si percepiva dagli anni ’80 e col tempo esso è stato svalutato del suo valore ideologico e culturale: questo vale non solo per le scelte gestionali ma anche per la mentalità dei cittadini.

A giorno d’oggi solo le mostre dei grandi artisti (pensiamo al successo della mostra sul Mantenga tenutasi a Padova gli scorsi mesi) attirano i cittadini all’interno delle sale d’esposizione ma non per la loro valenza artistica, che ovviamente scivola addosso allo spettatore medio, ma solo come fenomeno spettacolare. Anche senza una mostra eccezionale gli Uffizi e Palazzo Pitti raggruppano visitatori per la bellezza della loro struttura architettonica mentre per i piccoli musei il discorso è molto diverso: senza l’evento del mese nessuno vi metterebbe piede, nonostante al suo interno accolga opere altrettanto rilevanti culturalmente ma meno note al grande pubblico. L’idea del museo è ormai slegato dai suoi aspetti storicistici e idealistici, il museo non trasforma più la popolazione in cittadini infondendo in ciascuno l’orgoglio del proprio passato che va conservato ed esaltato, ora è diventato un ingranaggio del sistema spettacolare dal quale ne ha ereditato la logica pragmatica e la superficialità. Forse i 50.000 spettatori del ’37 oggi possono apparire ben poca cosa rispetto alle cifre rilevanti cui siamo abituati ma sono convinto che allora ciascuno di quei 50.000 da una qualsiasi pinacoteca usciva veramente arricchito>>.

Convegno dell’Associazione Italia Nostra
Bergamo, Facoltà di Scienze Umanistiche
24 febbraio 2007, ore 10:00
Per saperne di più www.italianostra.org
www.italianostrabergamo.org