Berlino assegna il 57° Orso d’oro ad un film ruvido e poetico allo stesso tempo. Una fiaba dal sapore documentario che fa riflettere.
Filmato dal poco noto regista Quanan Wang (che, assieme a Wei Lu è anche co-autore dello script), “Il matrimonio di Tuya” affronta temi universali come lo scontro uomo/donna e il conflitto tradizione/innovazione in un modo insolito, minimalista e forse un po’ naif che ricorda lo stile spoglio ed essenziale del nostro rimpianto “neorealismo”.
Era dai tempi del disneyano Mulan che il grande schermo non dedicava le sue attenzioni alle imprese di una donna forte, volitiva e dagli occhi a mandorla.
Perchè sotto quegli abiti troppo castigati e gli sgargianti foulard che ne occultano i graziosi tratti somatici, Tuya non è che questo: un’eroina dal cuore puro e dalla volontà in grado di smuovere le montagne.
Ed è proprio tra le vette più alte del mondo, nel territorio nord ovest della Mongolia Interna Cinese, che si svolge il piccolo dramma quotidiano di questa giovane “donna pastore” che – sposata ad un uomo molto più vecchio di lei (Bater), rimasto invalido durante l’escavazione di un pozzo – si vede costretta a farsi carico di ogni tipo di lavoro manuale, mettendo costantemente a rischio la propria salute.
L’esistenza di Tuya è così scandita da mansioni monotone e pesanti come la gestione del gregge, l’accudimento dei due figli piccoli e le più bieche faccende domestiche, finchè un giorno, a causa dell’ennesimo sforzo che rischia di inchiodarla per sempre sulla sedia a rotelle, il medico del paese non le prescrive un lungo riposo, consigliandole di divorziare e risposarsi con un uomo più giovane e robusto. Niente di più facile, vista la lunga fila di pretendenti disposti a sposare anche in seconde nozze la bella ragazza mongola: se non fosse che Tuya non ha la benchè minima intenzione di abbandonare l’adorato marito. E decide così, di punto in bianco, di imporre al futuro consorte la presenza domestica dell’invalido Bater…
La pellicola, pregevole per la bella colonna sonora e la nitida e spettacolare fotografia firmata Lutz Reitemeier (memorabili i campi lunghi che abbracciano i panorami mozzafiato delle steppe mongole), conquista soprattutto per il messaggio sociologico sotteso al rapido fluire degli eventi. Se la parola “amore” sembra esistere, infatti, anche negli inerpicati villaggi delle pianure mongole, certo è innegabile che si tratti di una concezione d’amore ben diversa da quella cui è abituato lo spettatore medio occidentale. Figli di una letteratura intrisa fino al midollo di romanticismo e “wertheriana” memoria, non possiamo infatti evitare di chiederci dove si nasconda l’ideale, in tanta prosastica quotidianità fatta di thè al latte, escrementi di pecore e maglioni studiati “ad hoc” per svalorizzare ogni strumento di seduzione.
Forse la risposta – sembra suggerire il regista – sta proprio in quel compromesso che non sempre siamo in grado di accettare: in quella felicità che solo il gusto dei piccoli gesti quotidiani può dare.
Una bella lezione per la società del benessere… Ma anche per i figli della nuova Cina che, agli albori del Terzo Milllenio, si presenta al mondo come la nuova potenza capitalistica: disposta a cancellare con un colpo di spugna il proprio passato rurale e contadino”.
Tuya’s Marriage
Titolo originale: Tuya de hun shi
Nazione: Cina
Anno: 2006
Genere: Drammatico
Durata: 86’
Regia: Quanan Wang
Sito ufficiale:
Cast: Nan Yu, Ba Te Er, Sen Ge
Produzione: China Film Group Corporation
Distribuzione:
Data di uscita: Berlino 2007