Il Padre è il dramma per eccellenza: rappresentato per la prima volta nel 1887, è forse il testo più famoso del drammaturgo svedese. In esso Strindberg, partendo dal conflitto di coppia, giunge a mettere in discussione non solo l’istituto del matrimonio e i valori della società borghese, ma la stessa identità psicologica del protagonista. “Un capolavoro di dura psicologia”, come lo definì Nietzsche, tutto giocato sul confronto tra personalità profonde.
Un classico del teatro, realizzato e interpretato in maniera classica. Massimo Castri porta in scena una versione molto fedele al testo: le scene sono ambientate in ampi saloni borghesi blu e neri, freddi e raffinati con grandi porte e finestre; gli attori, in costumi ottocenteschi, recitano alla vecchia maniera, con toni quasi declamatori e gesti enfaticamente innaturali.
La vicenda prende spunto da un banale conflitto coniugale: due genitori si scontrano sull’educazione da impartire alla figlia. Il padre, il capitano di cavalleria Adolf, uomo di mezz’età, pacato, rigoroso e studioso di scienze, è l’icona dell’uomo moderno, lontano da ogni forma di superstizione popolare o religiosa. Tradizionalmente legato ad una visione patriarcale della famiglia, vorrebbe decidere il destino della figlia adolescente Berta e mandarla a studiare in città, per farla diventare un’insegnante, attività adeguata ad una donna. La madre, Laura, donna dal carattere concreto e volitivo (e, nell’interpretazione della Mandracchia, anche leggermente isterico), vorrebbe invece occuparsi personalmente dell’educazione della figlia e assecondarne le inclinazioni artistiche. Per riuscire nel suo intento è pronta a tutto: non solo instilla nel marito l’atroce dubbio di non essere lui il padre della fanciulla, ma d’accordo col medico, si organizza finanche per farlo interdire grazie ad un referto sulla sua fragilità nervosa.
Da questo momento inizia per Adolf un calvario mentale graduale, che esploderà soltanto nel terzo atto. Il sospetto di non essere il padre di sua figlia lo farà precipitare in un’angoscia devastante, che lo porterà a mettere in discussione la sua identità e la sua dignità. Non solo affioreranno i nodi irrisolti del legame con Laura, ma il rapporto di forze e di equilibri tra uomo e donna si sovvertirà al punto che il marito diventerà la vittima dell’emancipazione della moglie. La liberazione femminile, figlia di quella modernità tanto amata da Adolf, innescherà un così profondo sconvolgimento, sia da un punto di vista psicologico che culturale, che l’uomo regredirà infine allo stadio infantile.
Il Padre è un testo indubbiamente datato, malgrado il forte carattere innovatore e anticipatore: Strindberg, infatti, con occhio lucido e spietato, preannuncia quella che sarà la profonda crisi dell’istituzione familiare nella società borghese del ventesimo secolo.
Tra le varie chiavi interpretative di un’opera tanto complessa e introspettiva, la regia di Castri non riesce tuttavia a trovare quella più interessante, o se vogliamo, attuale. La lettura scenica che ci viene proposta è essenzialmente quella della crisi di coscienza di un uomo delegittimato nel suo ruolo di padre (ai tempi in cui la genetica non disponeva ancora del test del DNA) e del travaglio psicologico che deriva dalla caduta delle certezze, tralasciando il tema della lotta tra i sessi che l’autore svedese, noto misogino, aveva tanto a cuore.
IL PADRE
di August Strindberg
traduzione di Luciano Codignola
regia Massimo Castri
con Umberto Orsini, Manuela Mandracchia, Corinne Castelli, Roberto Valerio, Alarico Salaroli, Gianna Giacchetti, Roberto Salemi
scene e costumi Maurizio Balò
luci Gigi Saccomandi
suono Franco Visioli
aiuto regia Marco Plini
una produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Nuova Scena – Arena del Sole – Teatro Stabile di Bologna