IL “RITO” DELLA PRIMAVERA NEL NOVECENTO

“Il Sacre” di Igor Stravinsky tra mitologia e futurismo

“Vesna svyasc’cennaya”. In russo“Santa Primavera”. Il titolo in francese con il quale venne rappresentato la prima volta recita “Le Sacre du printemps”. E quella prima, il 29 maggio 1913 a Parigi, fu uno dei più grandi scandali che la storia della musica ricordi.

Gli artefici del tutto furono un giovanissimo Igor Stravinsky e la compagnia dei Balletti Russi di Serghiei Diaghilev; il meglio del meglio. Già. Ma il pubblico si ritenne offeso, non tanto per la barbaria della musica, ma quanto per la violentissima coreografia di quel genio di Vaslav Nijinsky. Fu una mezza rivolta.

Eppure il “Sacre” continua ad essere la composizione del XX secolo più eseguita, quasi che il suo fascino rimanga intatto di fronte a tutta la musica scritta in seguito. Merito certamente di Igor Stravinsky che, in sol colpo, rivoluzionò ben più di Arnold Schoenberg, il modo di scrivere e di orchestrare.

Egli concepì l’opera nel 1910, la compose fra il settembre del 1911 e il marzo del 1913; superò indenne il fallimento della prima e visse grazie ad essa, poco prima del suo trentaduesimo compleanno nel 1914, il trionfo della sua carriera, grande “quale i compositori raramente godono”, come egli stesso ebbe a rievocarlo in età avanzata.
“Ascoltai e scrissi ciò che ascoltai”, affermò il musicista russo, “io sono la vena attraverso la quale La Sagra è passata”. Ma al di là della sua ben nota presunzione egli era consapevole di aver architettato un autentico capolavoro.

La struttura del balletto è divisa in due parti: l’adorazione della terra e il sacrificio. Il sottotitolo del balletto recita “Scene della Russia Pagana”. Le scene, appunto, sono molto particolareggiate, e, con l’eccezione del sacrificio umano, punto culminante dell’intera azione scenica, anche “etnograficamente accurate”.

La sceneggiatura venne progettata con cura meticolosa dal compositore in stretta collaborazione con il pittore ed archeologo russo Nikolai Roerich ancor prima di iniziarne la vera stesura sulla carta pentagrammata in quanto il “programma” dell’opera affonda le sue radici nell’antichità pagana. Quest’ultima, ricostruita meticolosamente o immaginariamente ricreata, era cosa della quale i poeti e gli artisti russi andavano pazzi nel periodo teso e febbrile che intercorse fra la rivoluzione del 1905 e quella del 1917.

Nemmeno Stravinsky poteva esimersi dal rievocarla. Dopo aver servito Diaghilev con la composizione di due balletti, l’”Uccello di fuoco” (una fiaba) e “Pétrouchka” (scene burlesche in quattro quadri ambientate durante il giovedì grasso nella piazza di San Pietroburgo) il legame mitologico con la sua terra non doveva essere dimenticato. Il modo più efficace era quello di descrivere un antico rito pagano che portava, dopo una serie di preparativi accurati, al sacrifico di una vergine (l’eletta), immolata per celebrare l’arrivo della primavera. Musica scatenata, difficoltà esecutive portate a livelli altissimi, esasperazioni tonali al limite, ritmi barbari, coreografia e scene da apocalisse, tensione emotiva portata al parossismo.

Chi meglio di Valery Gergiev ce la può rievocare?
Come già da me rilevato in un precedente articolo (su Hector Berlioz), il direttore d’orchestra russo è sicuramente uno dei più “visionari” attualmente in circolazione e nemmeno nell’esecuzione del “Sacre” egli ci delude.

La sua interpretazione è sicuramente originale e forse più vicina alla volontà di Stravinsky (che passa al contrario per non essere stato un eccellente direttore d’orchestra in modo particolare per quanto riguarda la concertazione delle sue opere) in quanto porta l’ascoltatore a vivere il “rito”, dall’inizio, con il celebre “a solo” del fagotto (difficilissimo per la presenza immediata di un do sovracuto) alla sua conclusione, culminante nella “danza sacrale”, vero e proprio “caos”, in una condizione di ipnosi, di stato confusionale e di esaltazione allo stesso tempo, per lasciarlo incredulo di fronte all’arabesco flautato che porta, dopo un’interminabile e geniale pausa, alla caduta finale.

Per nostra fortuna la primavera viene evocata anche in altre composizioni, ben più melodiose e leggiadre, ma ciò che ha rappresentato per il novecento questa composizione e le amare primavere che seguirono la sua prima esecuzione (vedi lo scoppio della prima guerra mondiale) ci portano ad evidenziare le capacità premonitrici dell’artista russo. Il pubblico francese di allora non l’aveva capito. Noi ora si.

Igor Stravinsky
The Rite of Spring
Le Sacre du printemps
Kirov Orchestra, Mariinsky Theatre, St Petersburg
Valery Gergiev
CD Philips 468 035-2
Siti Internet:
www.universalclassics.com
www.valerygergiev.com