Una foto vista per caso, in un ingiallito numero di Life; un poliziotto alle soglie della pensione, recluso dalla malattia tra le pareti sterili di un ospedale; due medici, un’antica cicatrice sopra l’occhio sinistro, un passato caliginoso ad accomunarli; un ebreo dal viso sfregiato, il cuore ricucito. Gli ingredienti ci sono tutti: il giallo, servito su un panno di velluto, pure.
“Il sospetto” esce nel 1960: gli echi della guerra, da poco sopiti, ancora ululano, di tanto in tanto, tra le fredde strade europee; tutti hanno dimenticato, perché si doveva e voleva dimenticare, eppure i fantasmi rimangono, indisturbati e disturbatori, a pungere coscienze, oscurare sogni.
Dürrenmatt, drammaturgo, pittore e scrittore svizzero, costruisce un giallo di poche pagine, e di pochi avvenimenti, dove i protagonisti sono sempre gli stessi, gli spostamenti minimi, quasi superflui, addirittura non considerevoli, proprio partendo da una tragedia ancora tutta da ricucire, per l’Europa e il mondo intero: quella dei campi di concentramento. Con un giallo che di quei fantasmi riprende buon sostanza e forma, poggiato su di un impalcatura tanto sottile da negare, alla fine, perfino sé stessa, mettendo in primo piano “solo” la natura intrinsecamente negativa dell’essere umano.
Protagonista l’ispettore di polizia di Berna, Hans Bärlach, inchiodato al letto d’ospedale da una malattia senza scampo, eppure ancora vivo e vitale, attivo: l’occasione per la sua ultima, definitiva battaglia contro il “crimine” gliela offre un vecchio numero di Life, dove un medico, Nehle il viso coperto per metà da una mascherina, sta operando un ebreo, senza anestesia, in un lager. Sarà il suo amico e medico curante, Samuel Hungertobel, a riscontrare una inquietante somiglianza tra Nehle e il dottor Emmenberger, chirurgo in una prestigiosa clinica di Zurigo. E allora Bärlach, roso da quel pungente sospetto che non gli darà tregua fino al suo scioglimento, si lancerà in un’estrema, rischiosa avventura, pur di verificare, e possibilmente confermare, l’idea bruciante, balzata in primo piano, riuscendo a scalzare perfino un’umiliante infermità fisica.
Se fosse stato un film, “Il sospetto” sarebbe di sicuro stato diretto da un maestro della suspance, Alfred Hitchcock (che infatti girò una pellicola omonima, ma dal diverso intrigo): nessun delitto misterioso, nessuno spargimento di sangue, nessuna violenza efferata. Tutto si svolge nella sfera del pensiero, nell’ambito del ragionamento, nel campo di una riflessione tormentata, in un progressivo, costante, aumento di tensione, in un accentuarsi di nervi, chiaroscuro che nulla mostrano, ma ogni cosa fanno intravedere; pare quasi di avere, tra le mani, una bolla di sapone, seguita nel pericoloso ingrossarsi, consapevoli della fragilità, eppure curiosi di vedere fin dove possano arrivare quelle vitree dimensioni, fino allo scoppio finale, alla rivelazione della sua debolezza, ed inconsistenza. “Il sospetto” si gusta senza strappi, anche se pecca, in alcuni punti, di una eccessiva vena filosofica che rischia di far perdere il filo, di impantanare la narrazione, intessendo la trama di accenni fuori luogo in un giallo altrimenti raffinato e crudele.
Consigliato, a tutti gli amanti del genere.
F. Durrenmatt, Il sospetto, MIlano, Feltrinelli, 2005, pp.125, €6.50