L’uscita prevista per il 12 maggio di “I Re e la Regina”, ultima opera del regista francese Arnaud Desplechin, è anticipata, nelle sale romane, da una lunga retrospettiva dedicata ad uno degli autori più significativi del nuovo cinema francese. Il film, selezionato al festival di Venezia, racconta la storia di due personaggi, Nora e Ismael, e del loro rapporto con la vita, che li porta ad incontrarsi ed allontanarsi, durante un estenuante percorso di definizione della propria identità.
Arnaud Desplechin racconta così la nascita del suo nuovo film a Eugenio Renzi, critico dei Cahiers du cinéma, in occasione della prima nazionale nella Sala Trevi del Cento Sperimentale di cinematografia. “L’idea del film nasce in parallelo a quella della mia opera precedente “Leo – En Jouant dans la compagnie des hommes”. Sono ormai abituato a scrivere due storie in parallelo che trattino lo stesso tema, anche se in modo differente. Con Leo parlavo di adozione, e la stessa materia è sfiorata anche in Rois et reine”. Secondo Renzi il film sembra raccontare, più che una storia, l’evoluzione di due personaggi estremamente differenti. Emmanuel Burdeau, caporedattore dei Cahiers, parla di questa forma d’arte come “Una violenza fisica, senza concessioni, dove Desplechin lotta con i suoi personaggi affinché superino gli ostacoli, ma nello stesso tempo li mette anche alla prova. Crede, come Proust, che sia necessario essere crudeli con chi si ama”. Il regista commenta: “Questo dipende dal film – confessa – In “Comment je me suis disputé…” amavo il personaggio di Esther, lo consideravo brillante, nonostante lo facessi sembrare inferiore rispetto al suo entourage borghese. Chiesi a Emmanuelle di accettare di sembrare stupida, nonostante la ritenessi la chiave del film. Per Nora è diverso: come regista mi son sentito di doverla difendere e aiutare a liberarsi dai sensi di colpa. La mia era un’empatia assoluta nei suoi confronti. Un intellettuale francese, F. Renaud, che lesse il mio copione, disse che Nora è una donna che, durante tutto il film, viene definita sempre dagli uomini e che, solo alla fine, riesce a divenirne indipendente, parlando da sola davanti alla telecamera. E’ un personaggio che ho amato nella scrittura e poi nella resa cinematografica. All’inizio, quando parla alla telecamera, il suo sguardo evidenzia la presenza di una terza persona che, dietro la telecamera, la guarda. Ero io quella persona. In quel momento Nora ha ancora paura di essere giudicata. Alla fine, invece, guarda direttamente in camera, recitando versi di Emily Dickinson, come se dicesse “sono così e non ho più nulla da nascondere”.
Sulle caratteristiche dei due personaggi si dilunga raccontandone la genesi: “Nora e Ismael rappresentano due etiche considerate minoritarie, ma che per me son preziose ed evidenti nel loro rapporto con il lavoro. Nora ha conosciuto le durezze della vita ed opera, quindi, seguendo la leggerezza come valore in sé (un po’ come la protagonista di “Colazione da Tiffany”). Ama l’arte per la bellezza delle immagini, mentre la morale tradizionale preferisce la pesantezza. Al contrario Ismael è tra i “pesanti”, ma diversamente da loro non ha alcuna scala di valori: parla in tedesco e di Batman nello stesso discorso, suona musica barocca e Webern, solo perché non ha più lo strumento adatto, e balla sui ritmi dell’hip hop. A chi mi domanda se questo film mi ha cambiato, preferirei dire il contrario. E’ perché si cambia che si gira un film. Dei film che realizzo non posso essere spettatore, perché il mio desiderio, vedendo un film, è che esso mi cambi. “Notthing Hill”, per esempio, ha provocato un grande cambiamento in me. Spero che il mio film faccia lo stesso”.
Emmanuelle Devos commenta, invece, la sua collaborazione al film di Desplechin, descrivendo i molteplici ostacoli nel lavorare ad un ruolo così complesso e fragile: “Quando Arnaud mi ha contattata per il ruolo di Nora, confesso di essere stata gelosa della positività del co-protagonista Ismael. L’idea d’interpretare un ruolo tragico mi impauriva. Ho avuto bisogno di un anno per abituarmi all’idea. Ma il ruolo era magnifico e Arnaud non ha avuto bisogno di convincermi. Era solamente necessario che io seguissi un percorso interiore per riuscire ad essere Nora. E ammetto di aver aspettato quasi in apnea l’uscita del film. Durante il tournage ero estremamente debole, perché il personaggio lo era. Nora è in apparenza una donna forte che cerca di affrontare di petto le difficoltà della vita. Ma in realtà è estremamente fragile. Per questo era difficile da interpretare: interrogava il mio essere donna. Ma nello stesso tempo il mio personaggio è stato mal interpretato. Il pubblico l’ha visto a volte come quello di una donna fredda, senza emozioni. In realtà questo mi ha sorpreso e anche ferito, perché in alcune scene è evidente come ceda alle sofferenze. Vivendo momenti così difficili, è chiaro che abbia sviluppato una forma estrema di riservatezza, senza la quale le sarebbe impossibile andare avanti, nella vita come nel film. Il mio è un personaggio quasi mitologico. Si ispira alla Kim Novak di “Vertigo” nella pettinatura, alla Bergman di “Notorius” nello stile. Passa attraverso degli archetipi che sono fuori dal tempo”.
Alla constatazione della presenza importante della sua interpretazione nell’opera di Desplechin risponde: “Con Arnaud ci siamo incontrati per il suo primo film. Siamo grandi amici ora. Lo considero uno dei migliori registi nel nuovo cinema francese. E’ uno di quegli artisti che non si siede sugli allori, che continua imperterrito nelle sue ricerche intellettuali. I suoi film sono sempre più interessanti ed i giovani registi cominciano oramai ad ispirarsi a lui. È vero che i ruoli che mi capitano son spesso tragici, ma non è una mia scelta. Mi piacerebbe interpretare ruoli più semplici, per il grande pubblico. Ma ammetto che i personaggi tragici sono anche i più ricchi e interessanti. Ed io son interessata all’estraneo, all’originalità”.
Emmanuelle Devos, infatti, è stata protagonista quasi indiscussa dell’ultima stagione del cinema francese con una serie di ruoli non certo allegri, ma che le hanno dato la possibilità di lavorare con autori quali Jacques Audiard per De battre mon coeur s’est arreté, con Frederic Fonteyne per La femme de Gilles, Pascal Bonitzer per Petits coupures. “In Italia ci si stupisce sempre dello stato del cinema francese. In realtà noi siamo abituati a questo clima fervido, generato da un sistema di aiuti finanziari ben gestito dallo stato. Tutti ci chiediamo dove sia finito il cinema italiano. In passato per me il cinema italiano e quello americano (di origine italiana!) erano gli unici esistenti al mondo. Adoro, per esempio, Moretti. Quando vidi “La messa è finita” ne rimasi sncovolta, tanto che cercai inutilmente di contattarlo, andando persino al Sacher e bussando alla sua porta!”.
I Re e la regina, il film che mette in scena la loro quinta collaborazione, uscirà nelle sale italiane il 12 Maggio. Viste le chiare dichiarazioni d’intenti del suo regista e della sua principale interprete, non resta che augurarvi buona visione!