Parlami d’amore è stato l’esordio alla regia per Silvio Muccino. Sono passati tre anni da quell’opera che lo ha visto in veste non solo di regista, ma anche di sceneggiatore e attore. Torna ora con un nuovo film: Un altro mondo, tratto dall’omonimo romanzo di Carla Vangelista, con la quale Silvio aveva già scritto a quattro mani il suo primo romanzo, poi diventato film.
Un altro mondo è la storia di Andrea, ventotto anni, che scopre di avere un fratellastro più piccolo di vent’anni. Charlie, questo il nome del bambino, è il frutto di un amore del padre con una donna di Nairobi, città dove l’uomo si era trasferito anni prima, abbandonando il primogenito in Italia con la madre.
Abbiamo incontrato il regista, nonché sceneggiatore e attore di Un altro mondo, Silvio Muccino, e gli abbiamo chiesto di raccontarci questa sua seconda esperienza come regista.
Questa è la seconda prova: quanto è stato difficile realizzare questo film?
È stato difficile perché rischiava di espormi davanti a tanti problemi..
Primo fra tutti mi sono chiesto molte volte se fossi stato in grado di interpretare Andrea. Perché è un personaggio che sentivo lontano e diverso da me, per questa sua rabbia, durezza, ma anche per la sua dolcezza e tenerezza che piano piano rilascia durante la storia.
Per secondo, avevo il timore di dover dirigere un bambino. E anche se questo bambino, Michael, è un genio, capace di dirigersi la solo, è comunque un bambino. E il mio lavoro è stato stimolarlo per avere reazioni e non renderlo attore. Questo ha risolto i miei problemi: cercare di stimolare in lui una vera reazione, mi ha imposto un linguaggio, un modo di lavorare, che fino all’anno scorso non consideravo, cioè l’improvvisazione, l’apertura, concepire che potessero cambiare delle cose. Ci sono molte scene che in corso di lavorazione sono state cambiate.
E poi c’è l’Africa…
L’Africa rappresentava per me un grande altro rischio, perché puoi raccontarla in molti modi. E quindi il rischio del patetico è sempre dietro l’angolo. Io conoscevo l’Africa attraverso lo sguardo giornalistico, dei reportage. Arrivato a Nairobi ero preparato fino a un certo punto. Per fortuna ho incontrato una persona: Gianfranco Morino, che è un medico di cui sosteniamo la fondazione (onlus World Friends), mi ha fatto da Virgilio, mi ha mostrato l’Africa attraverso i suoi occhi. E ho scoperto un’Africa con un’enorme dignità. E questo sguardo mi ha cambiato prospettiva, su come rappresentare questo Continente.
Registicamente si percepisce che c’è stata una notevole maturazione, rispetto a Parlami d’amore. Cosa ti ha convinto a intraprendere questo progetto?
Guarda, sinceramente, se non avessi creduto fin dal primo giorno, da quando ho letto il libro, che questo film potesse diventare mio, non mi ci sarei nemmeno mai messo. Dal primo giorno sapevo di entrare in una storia dalle grandi potenzialità, ma, come dicevo, dai grandissimi rischi. Era un progetto ambizioso, ma credo di averlo curato e coccolato con la giusta attenzione. Infatti sono a parlarne qui a distanza di tre anni da Parlami d’amore. E sono stati tre anni spesi a dedicarmi alla cura, a ogni dettaglio di questa storia, che amo profondamente.
Attore, regista, sceneggiatore in quale veste ti senti più a tuo agio?
Io amo raccontare storie, più che fare il regista. Io poi nasco come attore, davanti a me probabilmente ci saranno film solo da attore o ne verranno altri come regista e basta. Sono alla ricerca di storie, che secondo me è la cosa più bella che il cinema può dare. E ho la fortuna di poterle scegliere, le storie. E poi non riesco ancora a trovare una posizione, e questa è una cosa bella, perché l’imprevedibilità rende bello il mio percorso. Mi sono reso conto che sono dodici anni che faccio questo lavoro. E in questi dodici anni questo forse è il mio ottavo film e sono pochi. Perché io sono uno che insegue, che desidera le storie.
In Un altro mondo c’è un cast femminile di tutto riguardo, com’è stato lavorare con Maya Sansa, Isabella Ragonese e Greta Scacchi?
Ho avuto un enorme fortuna a lavorare con questo cast di superdonne, come le chiamo io. Questo è un film molto al femminile, dove i personaggi femminili sono i protagonisti, perché agiscono, hanno un percorso e incidono notevolmente.
Greta Scacchi mi ha fatto un vero regalo con la sua partecipazione, dando umanità a un personaggio che è negativo: Cristina, la madre di Andrea. È difficile trovare un’attrice che abbia il coraggio di farsi invecchiare e interpretare un ruolo così. Greta si è trasformata per questo film.
Poi Maya: è da sempre che l’ammiro. È stata importante, il suo ruolo per me è fondamentale. Andrea la incontra quando arriva in Africa. E la scoperta di quell’altro mondo passa sì attraverso i miei occhi, ma passa soprattutto attraverso gli occhi di Maya: Lei è il vero Caronte che ci porta da un mondo all’altro accompagnando lo spettatore in un’altra realtà concreta.
E poi Isabella è il colpo di fulmine del film, che rende in maniera straordinaria un personaggio femminile così controverso come quello di Livia.
E il piccolo Michael, l’attore che interpreta Charlie, come lo hai conosciuto?
Mr Cipolletto, come oramai lo chiamavamo tra i membri della troupe, è arrivato come un regalo, attraverso un videoclip di una canzone che si chiama Il regalo più grande di Tiziano Ferro. Eravamo disperati perché non riuscivamo a trovare un bambino che interpretasse Charlie. E senza non c’era film, cioè se questo bambino non arrivava, avremmo fatto slittare il film. Dopo tre mesi di ricerche, un giorno, ero seduto sul divano di casa mia insieme a Carla Vangelista, io ero sempre più disperato. La televisione era accesa, e a un certo punto Carla mi tira due gomitate, alzo la testa e in televisione, su MTV, stava passando questo videoclip. E io ho visto il viso di questo bambino di una dolcezza incredibile. Quindi abbiamo contattato la mamma di questo bambino, che da NY ci ha mandato un provino in inglese di Michael. Ho messo in croce, e delizia, la produzione, l’ho fatto venire da New York e ha fatto un provino straordinario. Li ho fatti restare con me e siamo stati insieme sei mesi, lavorando sulla sceneggiatura. Ed è stato meraviglioso lavorare con lui, e poi mi ricorda il bambino che ero. Questo bambino mi ha insegnato tantissime cose.
Una curiosità. Come sei riuscito ad avere un brano di Bruce Springsteen nella colonna sonora?
Io volevo assolutamente Secret Garden di Springsteen nel mio film. L’ho avuta in testa per tutta la durata del film. Così sono andato a ripescare una vecchia mail che non so se fosse di Springsteen o di un suo pronipote lontano. Così gli ho scritto una mail esclusivamente di suppliche, perché lui non concede praticamente mai i diritti delle sue canzoni per i film. Ho allegato la sequenza del film, dove ci sarebbe stata la sua canzone, e dopo tre settimane è arrivato l’ok!
Perdona la domanda, ma non trovi bizzarro uscire anche tu a Natale con un film in Africa?
(Ridendo) Non so se posso dirlo, perché ho paura della reazione di Aurelio (De Laurentiis), ma va beh. Appena tornato dall’Africa, mi chiama De Laurentiis. Mi saluta e mi dice che ha saputo che anche io avevo realizzato un film in Africa… e mi chiede “ma quando uscite?”. Ero al montaggio a quel tempo e una data d’uscita non c’era ancora, così lui mi dice “anche io ho fatto un film in Africa… e tu che animali c’hai?”
L’uscita natalizia è una coincidenza o un’operazione calcolata?
È colpa dei produttori, non mia. Ma in effetti mi hanno convinto che è un film natalizio. E l’ho capito anche io, ma dopo. Un altro mondo è un film della tradizione di un certo tipo di cinema di Natale, che non è il cinepanettone, ma è il cinema di Frank Capra, quello che la sera della Vigilia tutti gli anni ci sta. Come ne La vita è meravigliosa il mio personaggio da cinico scopre la bellezza dei sentimenti. Io sono un po’ il Clarence del film.
Foto a cura di Ilaria Falcone