“Un bacio… ma cos’è, così d’un tratto? Un giuramento reso tra sé e sé, un patto più stretto… È come un traguardo che insieme è un avvio, un punto rosa acceso sulla “i” di “amore mio”, un bisbiglìo alle labbra perché l’orecchio intenda, il brivido del miele di un’ape che sfaccenda, una comunione presa al petalo di un fiore, un modo lungo e lieve di respirarsi il cuore e di gustarsi in bocca l’anima poco a poco”. E. Rostand, “Cyrano de Bergerac”.
Dal 12 al 15 aprile il Teatro delle Muse di Ancona ha ospitato Alessandro Preziosi con il suo “Cyrano de Bergerac”
Entrare in Cyrano de Bergerac non è cosa da niente. Mai lo è quando ci si confronta con un classico, con qualcosa di intramontabile che, prima di noi, è già stato portato in scena dieci, cento, mille volte. Rappresentato al cinema, interpretato, letto e riadattato.
Aprire le pagine di un’opera senza tempo, per farla propria, è un compito arduo, e al tempo stesso delicato.
Alessandro Preziosi lo fa e, magicamente, ci riesce. Prende le parole di un ineguagliabile Rostand per dar loro il sapore di se stesso, della propria arte, ben 115 anni dopo la prima pubblicazione dello scritto. Non solo. Prende anche con garbo le sue scene, i suoi colori, le sue atmosfere e ridà vita a una storia d’amore e d’onore, di purezza e generosità, sui palchi di un’Italia pronta a riceverla.
Dal 12 al 15 aprile il suo Cyrano ha fatto incursione alle Muse di Ancona, davanti al mare, sotto una pioggerellina leggera ma insistente. Dentro, tra le mura del più importante teatro della città, posti liberi non ce n’erano, a riprova di quanto certa arte sia intoccabile nonostante il trascorrere del tempo. E, anche, di quanto certi interpreti sappiano davvero interpretare.
Alessandro Preziosi è uno di questi. Lo è nel suo Cyrano de Bergerac – suo dal momento che dello spettacolo è anche regista, su una produzione del Teatro Stabile d’Abruzzo e Khora.teatro – molto più di quanto non lo sia già stato al cinema e in televisione.
Ma d’altra parte si sa, è sempre il palco a tirare fuori le doti migliori di un attore. In questo caso, esse stanno tutte in quella (rara, preziosa) capacità del protagonista di parlare un linguaggio di fine Ottocento senza tuttavia risultare pomposo, artefatto, cantilenante nonostante le rime. Il suo è invece un Cyrano credibile e umano, vero persino per i nostri tempi, mai impostato (e proprio questa è, a mio parere, la maggiore difficoltà per un attore, quella cioè di essere intimamente teatrale, senza però mai sembrarlo, senza darlo troppo a vedere).
Al suo fianco, in scena – una bella scena, accurata, emotiva, piena (a cura di Andrea Taddei, con la collaborazione artistica di Nikolaj Karpov) – interpreti altrettanto credibili e sinceri: Valentina Cenni nei panni di Rossana, Benjamin Stender in quelli di Cristiano, Massimo Zordan nel ruolo di De Guiche, Marco Canuto in Regenau-Valvert e un bravissimo Emiliano Marsala, alter ego di Le Bret (se si esclude il protagonista è quello che colpisce di più per recitazione, forza emotiva e spigliatezza).
Al pubblico delle Muse il testo di Edmond Rostand – nella sua traduzione e adattamento di Tommaso Mattei – è piaciuto. Lo si è capito dagli applausi che non finivano mai, come pure dagli inchini degli attori, che hanno dovuto duplicarsi e poi triplicarsi davanti a una sala entusiasta. I costumi di Alessandro Lai, le musiche di Andrea Farri, le luci di Valerio Tiberi: tutto è piaciuto, in uno spettacolo dal calendario lungo e denso (sarà ancora a Napoli al Teatro Bellini dal 17 al 22 aprile e poi a L’Aquila al Ridotto del Teatro Comunale il 26 e 27 aprile).
Quanto al Teatro delle Muse, che quest’anno ha proposto una stagione di tutto rispetto, sta per arrivare il sogno de Il lago dei cigni il 21 e 22 aprile, seguito dal Don Chisciotte l’8 maggio.
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