Un complotto nazista per sabotare l’economia di Inghilterra e Stati Uniti, immettendo sui loro mercati ingenti quantità di sterline e dollari contraffatti. Un’operazione segreta, condotta nel campo di concentramento di Sachsenhausen grazie alla maestria di alcuni selezionatissimi detenuti ebrei, tra cui Salomon Sorowitsch, il più grande falsario d’Europa. Non si tratta dell’opera di un fantasioso sceneggiatore di spystories, ma della realtà. La trama del film di Stefan Ruzowitzky è tratta dalle memorie di Adolf Burger, un sopravvissuto ai campi di sterminio, che prese davvero parte all’Operazione Bernhard in qualità di tipografo. Traendo spunto dal suo libro The Devil’s Workshop (mai pubblicato in lingua italiana), Il Falsario racconta la strana storia di questi “prigionieri speciali”, prelevati dai campi di concentramento di tutto il continente per essere coinvolti nel progetto criminale dei nazisti.
Presentato alla Berlinale nel 2007, il film di Ruzowitzky uscirà in Italia il 25 gennaio, a ridosso del Giorno della Memoria. La pellicola s’inserisce senza dubbio nell’ampia filmografia dedicata agli orrori dell’Olocausto, ma possiede anche caratteristiche degne di nota. Il Falsario, innanzitutto, racconta un pezzo di storia poco conosciuto e piuttosto intrigante. Si tratta, già in partenza, di un punto di vista insolito sulla tragedia dei campi di concentramento, che in questo film viene evocata indirettamente, ma con grande forza espressiva. Adolf Burger e i suoi compagni dell’operazione Bernhard erano trattati con riguardo dai nazisti. Il loro blocco era tenuto separato dal resto di Sachnehausen, non solo dal punto di vista logistico, ma anche per la qualità della vita. I “falsari” avevano bagni e letti confortevoli, disponevano di cibo a volontà e persino del ping pong. Ma come si possono fare “quattro tiri” con una guardia, mentre nel resto del Lager i morti si contano come i rimbalzi di una pallina?
Nonostante le barriere innalzate dai nazisti, la crudeltà e il dramma raggiungono comunque i prigionieri speciali. Arrivano ogni giorno attraverso i suoni provenienti dagli altri blocchi, attraverso i nomi sulle targhette dei vestiti regalati ai “falsari”, oppure attraverso le foto sui vecchi passaporti da usare come modello per le contraffazioni. L’atrocità indescrivibile dell’universo concentrazionario è continuamente invocata grazie a un ingombrante fuori campo, ancora più angosciante poiché tanto i personaggi, quanto gli spettatori, sanno bene di cosa è costituito.
A questa particolare impostazione, fa da corollario un modo più complesso e sfaccettato di rappresentare nazisti e prigionieri. I secondi, in particolare, non sono “appiattiti” sul ruolo di vittime. Devono affrontare una grave questione di coscienza: collaborare con gli aguzzini o cercare di sabotare l’operazione Bernhard a rischio della vita? Un dilemma non facile da risolvere, che si somma al ben noto senso di colpa per la sopravvivenza. Oltre a questo, colpisce la fascinosa ambiguità morale del protagonista Salomon Sorowitsch, perfettamente incarnata dal grugno di Karl Markovics. Il grande falsario è un uomo di mondo, abituato alla delinquenza. Il suo volto dai lineamenti duri non è inquadrato quasi mai frontalmente o in piena luce: segno evidente dell’intensa conflittualità che lo attanaglia.
Anche i nazisti sono più umani e meno stereotipati del solito, tra l’altro senza che ciò giochi a loro favore. I responsabili della Shoah non sono dipinti come pazzi sadici, ma come persone “normali”, che si trovano a compiere un terribile sterminio semplicemente perché hanno il potere di farlo e l’apparato ideologico adatto per giustificarlo. Si tratta di un preciso monito, che il regista ha palesato nelle sue dichiarazioni alla stampa. «Molti ritengono che il Terzo Reich abbia significato soprattutto belle autostrade, treni puntuali, la valorizzazione della figura materna. Per loro, lo stermino rappresenta solo un effetto collaterale, mentre è l’esatto contrario. L’Olocausto è stata solo la logica conseguenza di un sistema criminale fino all’osso. Con questo film ho voluto mostrare come i nazisti si siano macchiati di tutti i reati possibili, persino in campo economico. È bizzarro – ha concluso Ruzowitzky – come coloro che vorrebbero l’ordine, si rifacciano a un modello criminale come quello nazista».
Sicuramente, Il Falsario riuscirà a dare una forma molto incisiva a tale denuncia, senza scadere negli stereotipi più classici e ponendo perfino una questione morale più ampia, rappresentata dal dilemma dei prigionieri. Considerando la particolare tragicità del materiale narrativo a disposizione di questo film, risulta ancora più apprezzabile la sua capacità di costruirsi non solo intorno al dolore, ma anche al “dubbio” delle vittime. Lo dimostra, d’altra parte, il confronto con prodotti quali Hotel Meina: una pellicola che senza la rabbia e l’indignazione per il Genocidio, non riuscirebbe proprio a reggersi in piedi.
Titolo originale: Die Fälscher
Nazione: Germania
Anno: 2007
Genere: Drammatico, Guerra
Durata: 98’
Regia: Stefan Ruzowitzky
Sito ufficiale: www.filmladen.at/faelscher
Cast: Karl Markovics, August Diehl, Devid Striesow, Martin Brambach, August Zirner, Veit Stübner, Lenn Kudrjawizki, Werner Daehn
Produzione: Babelsberg Film GmbH, Josef Aichholzer Filmproduktion, Magnolia Filmproduktion, Studio Babelsberg Motion Pictures GmbH, Zweites Deutsches Fernsehen (ZDF)
Distribuzione: Ladyfilm
Data di uscita: Berlino 2007 25 Gennaio 2008 (cinema)