“La danza non è spiegabile a parole e nulla di quanto se ne possa dire potrà sostituire ciò che alla fine si vedrà sul palcoscenico”. Lo diceva George Balanchine, eccelso coreografo d’origini georgiane, ma che ha raggiunto l’apice della sua carriera e del suo successo in Europa e, soprattutto, negli Stati Uniti.
-Chiediamo quindi la sua clemenza, perché noi qualche parola su ciò che è andato in scena ieri sera, nell’ambito del Ravello Festival 2012 (il cui tema quat’anno è “Memorie”), dobbiamo pur spenderla. Infatti, nella suggestiva cornice del Belvedere di Villa Rufolo, alcuni principal del New York City Ballet, ormai di casa alla kermesse estiva, si sono esibiti in A Tribute to George Balanchine , padre fondatore della compagnia nell’ormai lontano 1948.
Innanzitutto, bisogna fare un plauso all’ineccepibile scelta del programma, costruito in modo da venire incontro a tutte le fasce d’età e di gusto. Tre tempi, i primi due da 40 minuti e l’ultimo da 30, intervallati da 10 minuti di pausa, hanno evitato il sopraggiungere di noia o stanchezza per chi si è recato allo spettacolo più per cortesia d’accompagnatore che per amore del balletto. Buona anche la scelta di pezzi presentati per rendere omaggio a Balanchine: il secondo quadro dell’Apollon Musagète, i passi a due tratti dai “Diamanti” e dai “Rubini” di Jewels, un estratto di Agon (per palati un po’ più raffinati) e gran finale con una suite da Who Cares?
-Ma non sono mancati degli intermezzi di repertorio di altri grandi maestri: il passo a due del terzo atto del Don Quixote di Marius Petipa, quello delle Fiamme di Parigi di Vasily Vainonen e la danza russa dal Lago dei Cigni nella versione di Peter Martins, attuale direttore artistico del NYCB.
Per quanto riguarda i danzatori, approfittiamo del retaggio olimpico per assegnare la “medaglia d’oro” a Joaquin De Luz: spettacolare Basilio che infila una serie di doppi tour en l’air nella coda del DonQ, ed espressivissimo e scanzonato in Who Cares?
La migliore tra le donne è invece Ana Sophia Scheller. Energica Kitri, delicata nei Diamanti, dà il meglio di sé in Who Cares: sinuosa ed elegante nel passo a due che dà il nome al balletto con Amar Ramasar (con il quale ha davvero un’intesa perfetta), non manca di solare leggerezza nel finale, sulle note di I got rhythm.
-Ottima la prova di Megan Fairchild, soprattutto nella sensuale “rubina”, e di Ashley Bouder, in particolar modo come musa eletta nell’Apollo. Morbidi ma sempre energici, Andrew Veyette e il già citato Ramasar, mentre non brilla particolarmente Tyler Angle: buon porteur nei Diamanti, non si fa notare in Who Cares dove è necessaria una maggiore forza espressiva.
-Non convince, invece, Gonzalo Garcia nell’Apollo e soprattutto nei Rubini. Premettendo che non si stanno assolutamente mettendo in dubbio le qualità tecniche, non sono piaciute la fissità dello sguardo e l’intenzione quasi timorosa, che hanno fatto perdere tantissimi punti all’interpretazione. Potendo scegliere, nel ruolo di Apollo avremmo preferito Veyette e in quello dei Rubini Ramasar.
Infine, la “nota stonata”: Megan LeCrone. Spigolosa, sguardo fisso al pavimento, sempre uguale a se stessa. Dà l’impressione di danzare solo con il viso, senza trasmettere lo “scintillio” sacro della danza a tutto il corpo. Le braccia sembrano lasciate al caso, senza vitalità, e le gambe si limitano ad eseguire. È particolarmente imbarazzante in qualità di unica donna nella riduzione di Agon.
-Ma il motivo del suo dislivello rispetto al resto della compagnia è presto scoperto, appena si ha modo di dare un’occhiata al sito ufficiale della compagnia: LeCrone non è una principal, né tantomeno una solista, ma un membro del corpo di ballo, che di strada ne deve macinare ancora. Non sappiamo i motivi che abbiano convinto Martins a preferire lei (a questo punto come sostituta) a qualcun’altra nelle tappe della tournèe italiana. Possiamo solo dire la nostra: forse è il caso di valutare altre danzatrici per il “salto di qualità”.
Foto a cura di Maria Rosaria Carifano © NonSoloCinema.com – Maria Rosaria Carifano
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