A margine di un grande evento, l’Euro 2008, un ragionamento su come lo sport sia diventato un vero e proprio genere televisivo.
Con problemi di filmabilità ed estetica della visione.
Districarsi in mezzo all’offerta moltiplicata dei palinsesti è possibile grazie all’idea di genere televisivo.
Fiction, intrattenimento, informazione sono àncore di lettura di testi spesso complessi.
Ci sono i programmi non prodotti appositamente per la tv, che però godono di seconda vita sul piccolo schermo (il film, per esempio) e programmi che sono prodotti e pensati per la televisione.
Lo sport come materia narrativa che deve essere divulgata e trasmessa, appartiene a questa seconda categoria e in generale, le riprese dirette degli eventi extra-televisivi sono da ascrivere a questo insieme in quanto come testo audiovisivo esistono solo perché la televisione ne cura le riprese.
Lo sport in tv é in stretta relazione con il settore della comunicazione, con il sistema mediale in genere, che offre al pubblico ricostruzioni, riprese in diretta o in differita di quello che accade nel mondo, costruendo un “campo” in cui la strategia comunicativa ha lo scopo di garantire la verità di ciò che si sta trasmettendo.
A livello del tempo, la garanzia della diretta è sigillo di immediata presa di realtà, e non esiste la dialettica tra mondo esterno (da cui giunge la notizia) e mondo interno (studio) che rielabora la notizia stessa. Il primo serve a dare riconoscibilità al secondo, che organizza la sua successiva divulgazione in base alla visione diretta.
Lo sport trasmesso e trasmissibile, dunque, è l’unica garanzia di veridicità che abbiamo nella messa in scena dei grandi eventi reali.
Non filtrato, non rielaborato. Un gol ai mondiali, un tiro a canestro, una schiacciata a Wimbledon, un sorpasso al Gran Premio di Montecarlo giungono vivi e immediati e restituiscono alla televisione la sua dignità di mezzo di comunicazione aggregante e lungimirante.
I bagni di folla nelle piazze per le finali, l’idea di maxi-schermo/maxi-evento, restituiscono un’idea di massa profondamente radicata nell’attesa del grande happening, un carattere ritualizzante (come definito dagli analisti), che nei cosiddetti media-events fa sovrapporre la dimensione privata con quella pubblica.
La temporalità del palinsesto nelle grandi cerimonie mediali, infatti, crea un ponte tra i due mondi fino a farli completamente coincidere; fino a che la dimensione pubblica non stravolge quella privata (non è una leggenda metropolitana che quando gioca la nazionale italiana molti negozi chiudano prima, e che s’interrompa “con ossequio” il tran-tran lavorativo).
Inoltre, l’oggetto di visione (che qui è la gara) è soggetto ad una negoziazione del senso che lo sottopone, a posteriori, ad infinite interpretazioni. Un messaggio primario come quello dell’agone fisico, è complicato dallo “struggle for meaning” che lo accompagna. L’evento dunque è circondato da una rete di discorso che influenza l’intera programmazione del canale. Al di là della pertinenza di tale nube di commento, l’evento sportivo genera, alla seconda, una proposta televisiva mutevole e incessante (a tal proposito le famose tribune, i processi, i siparietti comici spesso linguisticamente scomposti).
Ma l’aspetto più interessante e universale è che le reti discorsive che questo medium orchestra, lo rendono capace di ridurre tutte le distanze spazio/temporali. Di restituire la potenza della visione, di far risultare ogni ogni altro strumento di comunicazione inadeguato e di restituire come sostiene Aldo Grasso: “una narrazione allo stato puro, un’intensità da fiato sospeso”.
E’ lo sport stesso, ora del tutto videizzato, che si piega perché sia il mezzo ad emergere, anche nelle sue complesse dinamiche di cessione di diritti di ripresa (a tal proposito, la finale della Uefa Champions League 2008 a Mosca è stata giocata alle 23.00 per concludersi a notte fonda. Le due squadre in gara, entrambi inglesi, avevano esigenze di fuso orario e si doveva rendere l’evento godibile soprattutto per tifosi).
Dunque, formula del racconto televisivo, con uno spirito bardico (come definiscono Casetti e Di Chio i compiti di ri-mediazione di linguaggi e di inter-testualità), il testo flusso, rappresentato da una partita di calcio ma anche da un volteggio alle parallele e da una gara di motociclismo, richiede stili di riprese e canoni di riproduzione particolari che rendono questa materia vivissima una delle sostanze narrative con la più alta estetica.
In fatto di filmabilità nulla è come l’agonismo sportivo. Esso è una sorta di reality che scorre inerte sino al sorpasso o alla caduta che rompono la continuità della durata e inseriscono l’imprevisto come elemento essenziale della natura stessa dello sport.
L’assoluta certezza dell’evento. L’assoluta incertezza del risultato.
E così, se prima ogni sport era legato indissolubilmente al medium egemone al tempo della sua nascita (il ciclismo e la carta stampata, il calcio e il fascino della radiocronaca), oggi si assiste al comando indiscusso della televisione, che si appropria di tutte le pratiche telegeniche e le spinge sino all’inverosimile.