Un’indagine minuziosa che permette di decifrare simboli e codici nascosti tra le pieghe di uno dei più noti proverbi di saggezza popolare, che si trasforma così in una sorta di precetto sociale, in grado di sintetizzare una lotta di classe.
Un ammonimento ripetuto con ritmica meccanicità. Un gioco di suoni e rime. Quasi una filastrocca interiorizzata, che si recita automaticamente ogni volta che i due alimenti si presentano insieme. Si parla, ovviamente, del notissimo detto “Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere”, ormai parte del comune patrimonio culturale e lessicale.
Ma, andando oltre la rima facile e l’apparenza, qualcosa non torna: perché un proverbio popolare preclude una conoscenza al contadino, che – comunemente – del contesto popolare è l’esponente e il simbolo? Perché nascondere qualcosa a chi, in realtà, è il destinatario stesso del precetto? Un’anomalia ed una contraddizione che conducono ben presto oltre la lettura immediata e superficiale, aprendo quindi all’indagine e all’approfondimento.
Sfogliando ricettari antichi, raccolte di proverbi e di detti popolari, opere letterarie, trattati di dietetica e di agricoltura, Massimo Montanari, illustre storico dell’alimentazione dell’Università di Bologna, ricostruisce nel suo ultimo lavoro Il formaggio con le pere la storia di un accostamento gastronomico, dimostrando come esso vada ben al di là del semplice suggerimento, per arrivare a delineare una storia della lotta di classe e del conflitto sociale dal Medioevo all’epoca moderna.
Nell’antichità infatti, il formaggio è sempre stato un cibo associato al povero, al bifolco, il cui stomaco, secondo le teorie della medicina del tempo, essendo assai meno delicato di quello della classe nobiliare, era in grado di digerire un alimento pesante, secco, salato e di dubbie qualità, quale appunto il derivato del latte.
Per assistere ad una riabilitazione del formaggio bisogna attendere il Medioevo che, imponendo una serie di rigide prescrizioni alimentari basate sulla suddivisione del calendario liturgico tra giorni di magro e giorni di grasso, individua nel formaggio un valido sostituto della carne, vietata appunto nei periodi di astinenza. L’alimento comincia quindi a comparire anche sulla tavole dei potenti, non senza un acceso dibattito tra detrattori e sostenitori.
Altrettanto complesso appare il carattere della pera: se i frutti in generale sono sempre stati simbolo di ricchezza e cibo di élite, facilmente deperibili e quindi lontani dalle logiche della conservabilità del cibo che regolavano invece le necessità alimentari dei contadini, la pera è forse quello che più di ogni altro riassume in sé i tratti della nobiltà, perché scarsamente disponibile. Anch’essa è oggetto di diffidenza dal punto di vista medico-dietetico, per la sua natura fredda e umida, che impone di essere mitigata con alimenti caldi (le spezie), o cotture lunghe (meglio se nel vino).
Se i due cibi distinti rappresentano quindi classi sociali (e tipi di alimentazione) altrettanto distinte e rigidamente separate, simbolo di un ordine sociale ben definito, il problema nasce quando cominciano ad essere accostati, conseguenza del passaggio dalla nozione di gusto – che porta a mangiare ciò che fa bene e che si lega alla propria natura e al proprio status – a quella di buon gusto – espressione invece di una capacità culturale.
In questo caso allora, ad essere messa in discussione è l’appartenenza esclusiva del buon gusto alla classe nobiliare: il contadino, insomma, potrebbe saper gustare e abbinare i cibi, imparare a riconoscerne le qualità, al pari del nobile. Fuor di metafora: aspirare ad una classe sociale superiore e quindi ad un sovvertimento dell’assetto sociale esistente. Ecco allora che l’ordine in cui si mangiano i due cibi diventa fondamentale: se le nobili pere sono accostate al vile formaggio, vengono inequivocabilmente declassate, ma se è il vile formaggio ad essere accompagnato alla nobile pera, esso acquista immediatamente uno status superiore.
Il proverbio diviene allora un precetto sociale, e formaggio e pere altrettanti simboli di una lotta di classe. Combattuta anche gastronomicamente.
Massimo Montanari, Il formaggio con le pere. La storia in un proverbio, 2008, Laterza, € 15,00.