Giunta al 60° anno di attività, la Festa del Teatro di San Miniato (Pi), la più longeva manifestazione teatrale in Italia, ha messo in scena un testo dello scrittore Julien Green. Americano di nascita, francese di adozione, convertitosi al cattolicesimo, Green è oggi un autore poco frequentato, sia nella sua vasta e ricca produzione narrativa che in quella teatrale, assai più ristretta, della quale fa parte Il nemico, scritto nel 1954.
È un peccato che Green sia dimenticato, perché la sua sensibilità religiosa è estremamente moderna, lontana da una concezione di letteratura edificante, bensì tesa a scavare nelle contraddizioni dell’animo umano toccato dalla fede. Non a caso il titolo di questa pièce allude proprio al nemico di Dio, al «principe di questo mondo» che viene a turbare il precario equilibrio ipocrita stabilitosi nella famiglia aristocratica dei Silleranges, al tempo della rivoluzione francese. Philippe è sposato con Elisabeth, ma, essendo rimasto impotente a causa di una ferita, la donna vive una relazione col fratello di lui, Jacques. L’arrivo al castello di Pierre, fratellastro dei Silleranges, ex monaco votatosi al “nemico”, scatena una serie di passioni travolgenti, a cominciare dal trasporto erotico di Elisabeth, passando per la gelosia di Jacques e coinvolgendo infine Philippe, sempre più consapevole del suo ruolo di facciata.
L’ambiente aristocratico si rivela progressivamente un interno borghese, che fa tornare alla mente quello descritto da Pasolini in Teorema; e la scelta del regista Carmelo Rifici va proprio in questa direzione, con la graduale modificazione degli abiti e delle acconciature settecenteschi in costumi di foggia moderna. La stessa scena suggerisce un edificio in perenne costruzione, con le impalcature sul lato sinistro che rimandano al presente e collocano il dramma in una dimensione meta-storica.
I temi affrontati sono profondi, gravati da un tono concettoso dei dialoghi che fanno continuo riferimento alla lotta dell’anima tra Dio e il suo nemico. La regia appesantisce il testo già di per sé allegorico con una simbologia ulteriore, come il far muovere alle volte i personaggi al modo di marionette nelle mani di un qualche burattinaio schizofrenico, o il sottolineare il dominio del destino su quegli esseri in scena, ricorrendo ad una specie di riavvolgimento cinematografico che li costringe ad un dato punto a muoversi all’indietro e a rivivere, in rapidi flash, episodi già visti. Al tutto si aggiungono, in funzione di controcanto visionario, una serie di figure che si muovono in scena senza un’apparente spiegazione: fantasmi evocati dai dialoghi o volti di personaggi che dalla Storia (quella vera, lontana dagli affanni dei protagonisti) vengono calpestati.
Tutti hanno freddo nel corso del racconto. Solo Elisabeth scoprirà le fiamme che riscaldano e illuminano gli anfratti dello spirito: per lei, volta al sacrificio, saranno fiamme di purificazione; per gli altri, forse, le fiamme dell’inferno.
Al termine della rappresentazione ci resta un’impressione di sovrabbondanza, di eccesso drammatico sia nella prova degli attori (si distingue per misura Marco Balbi nel ruolo di Philippe), sia nelle scelte registiche, sia infine nel testo stesso, più adatto alla pagina da leggere che non alla scena.
IL NEMICO
di JULIEN GREEN
traduzione di ROBERTO BUFFAGNI
con ELISABETTA POZZI e TOMMASO RAGNO
e con (in ordine alfabetico) MARCO BALBI – NOEMI CONDORELLLI – TINDARO GRANATA – AGOSTINO RIOLA – ALESSIO ROMANO – CARLOTTA VISCOVO
regia di CARMELO RIFICI