Il nuovo “cinema generazionale” italiano

Il punto sulla situazione

L’uscita nelle sale dal 9 Novembre del film di Volfango De Biasi Come tu mi vuoi, con protagonisti gli ormai prezzemolini Nicolas Vaporidis e Cristiana Capotondi, induce ad una riflessione quasi automatica: qual è lo stato del cinema “giovane” in Italia? Ma soprattutto, esiste questa generazione tanto decantata da Moccia et similia? Si spera di non lasciare ai posteri l’ardua sentenza.

Il film di De Biasi è solo l’ultimo di una lunga serie che tratta i problemi, la quotidianità, i sentimenti di una generazione. Ormai possiamo considerarlo, dato il numero consistente di opere che trattano argomenti simili, un vero e proprio filone. Le caratteristiche sono simili in tutte le opere: tratti da romanzi che sembrano tagliati apposta per una riproduzione sullo schermo, con una scrittura quasi “a scene” e caratterizzazioni dei personaggi che rispondono ad una già predisposta proiezione in carne ed ossa sullo schermo (si pensi a Tre metri sopra il cielo oppure Ho voglia di te di Federico Moccia), problemi sempre simili, quotidianità plastificate ed improbabili (improbabili quanto le due “Notti prima degli esami“, che sembrano riprendere, più che il discorso del distacco da un tipo di vita e l’inserimento nel mondo lavorativo o universitario, il testo alquanto discutibile, usando un eufemismo, della canzone omonima di Venditti). Ripensando al passaggio dalla giovinezza spensierata all’età adulta, con conseguente perdita dell’“innocenza”, torna alla memoria American Graffiti di George Lucas, leggero ma allo stesso tempo profondo, che trasporta con sé la sua non ripetibilità: all’epoca c’era un problema generazionale, oggi – ahinoi – no. Naturalmente è totalmente assente qualsiasi afflato artistico nel nuovo cinema generazionale, essendo tali prodotti veri e propri “Prodotti”, generi di consumo, usa e getta dell’adolescente medio.

La questione sorge spontanea, e quasi atterrisce: ma esiste questa generazione? E se esiste, dove si nasconde? La domanda retorica impone una risposta negativa. E’, quella descritta, una generazione inesistente, dati i problemi e le domande che il mondo moderno ci pone davanti agli occhi, e totalmente non aderente al vissuto di tutti i giorni: non vi troviamo nessun richiamo alle vere difficoltà che il giovane di oggi incontra, ed il tentativo di fare cinema generazionale è vano, dato l’affievolirsi del concetto stesso di generazione (non calcolato in senso biologico ma culturale). Più che altro queste opere sembrano proiezioni oniriche ed idealizzate del sedicenne disorientato, che nel vuoto di questa epoca cerca un rifugio nella situazione mozzafiato del bello o della bella di turno. Illusione che si andrà a spezzare inevitabilmente al primo contratto a tempo determinato.
Allora il giovane butterà definitivamente nel dimenticatoio Babi e Step.