Settimo lungometraggio per Ceylan nonché Palma d’oro al Festival di Cannes 2014, sebbene il regista turco si sia distinto in precedenti edizioni del festival come il Grand Prix speciale della Giuria vinto grazie a C’era una volta in Anatolia (2011), Il regno d’inverno riesce, dialogando con lo psicologismo di Bergman, a rappresentare visivamente, prima ancora che narrativamente, la distruzione e la rinascita di un uomo.
Aydin (Haluk Bilginer) è un ex scrittore e teatrante che oggi gestisce l’albergo “Otello” in una zona rupestre e isolata della Cappadocia in compagnia di sua moglie Nihal (Melissa Sözen) e sua sorella Necla (Demet Akbag). La regione attira visitatori ogni mese dell’anno a causa della presenza dei tipici cavalli selvatici ma a d’inverno, a causa della posizione sfavorevole, l’albergo non è molto frequentato. Al sopraggiungere della stagione fredda, Aydin, attraverso continui scontri, si renderà conto di quanto effimeri siano i legami con i suoi cari e quanto illusorio sia il suo modo di vivere.
Il protagonista vive, infatti, in una torre d’avorio circondato dei feticci del suo precedente lavoro, maschere teatrali, poster di piéce, il nome dell’albergo, da cui giudica tutto e tutti alla ricerca di qualcosa di sbagliato su cui concentrare il fuoco della sua critica pubblicata settimanalmente da una rivista semisconosciuta. A risentire per prime del comportamento dell’uomo sono le due figure femminili, che Ceylan denota avendo in mente l’archetipo della donna forte, concreta, che spazza via le illusioni dalla propria e altrui vita.
A loro è affidato il ruolo di portare a esasperazione, mediante due centrali e importanti dialoghi, la distruzione della maschera di Aydin che il regista ottiene medianti due fronti: su un fronte l’uso di un correlativo oggettivo che unisce la violenza che il protagonista causa psicologicamente a quella che porta, volontariamente o meno, agli animali, come il cavallo catturato o la lepre uccisa, su un altro, mediante allo scontro con i personaggi.
Punto di arrivo di questo scontro sarà la scena alcolica che degrada il protagonista moralmente e fisicamente ma rilancerà la sua resurrezione dal punto di vista professionale, la scrittura di un manuale di storia del teatro turco, e sentimentale, promettendo una riconciliazione attesa. Trattandosi di una “racconto” visuale piuttosto che narrativo, Ceylan dimostra tutta la sua competenza con una sapiente regia. Spina dorsale del film è infatti l’accompagnamento musicale del secondo movimento della Sinfonia n°22 in La minore di Schubert, il cui inizio dolente e la sezione centrale ossessiva, da allucinazione eterna senza via d’uscita, fanno da rappresentazione uditiva del girovagare senza sosta del protagonista così come, la fotografia, dominata da mezze tinte e chiaroscuro, mette immediatamente davanti gli occhi degli spettatori, ciò che poi i dialoghi, nel livello dominante della sceneggiatura, rappresentano con notevole finezza psicologica.
Titolo originale: Kis uykusu
Nazione: Turchia, Francia, Germania
Anno: 2014
Genere: Drammatico
Durata: 196′
Regia: Nuri Bilge CeylanCast: Haluk Bilginer, Melisa Sözen, Demet Akbag, Ayberk Pekcan, Serhat Mustafa Kiliç, Tamer Levent, Nejat Isler, Nadir Saribacak, Mehmet Ali Nuroglu
Produzione: Zeynofilm, Memento Films Production, Bredok Filmproduction
Distribuzione: Lucky Red, Parthenos
Data di uscita: Cannes 2014