“Il seme della discordia” di Pappi Corsicato

Venezia 65. – Concorso
Veronica è una donna dalla bellezza ammaliante; benestante, dolce e alla moda, le manca forse solo il coronamento della vita familiare: un figlio, che con il suo maritino workaholic non riesce a mettere in cantiere. Una notte, al ritorno da casa, la donna viene aggredita da due maldestri ladruncoli; sviene, ma è al risveglio che inizia il suo vero incubo.

Non siamo ciechi. Ce ne siamo accorti: questo seme della discordia non è un film, ma una consacrazione fisica. È un inno alla bellezza di un punto focale, la congiuntura di migliaia di sguardi, l’ammirazione estetica ed estatica dello spettatore. Se Almodovar (con cui Corsicato ha collaborato, non dimentichiamolo) ha via via trovato volitive femmine ispaniche per concentrare la sua ammirazione per la grazia femminile, se lungo i decenni del cinema nostrano la Magnani, la Loren, la Mangano, la Bellucci sono state luogo di concentrazione di un discorso filmico che emanava dal loro corpo e irradiava dalla loro irrimediabile femminilità, qui la Murino diventa filo rosso e motivazione ultima per montaggio, sceneggiatura e perfino fotografia di un’operazione pop che diverte e spiazza con il suo essere corpo estraneo (ma poi non troppo fastidioso) nel concorso di una mostra di arte cinematografica.

Si può aver un bel parlare del tema della fertilità per questa storia di una coppia “scoppiante”: lei, novella Eva primigenia e macchina di desiderio e generazione perfetta, per quanto svogliata e sessualmente detonata, lui, il marito, stallone dal grilletto facile e dall’eiaculazione da record dei 100 metri, nonché contenitore scarico di mascolina vacuità, con un lavoro che più simbolico non poteva essere; lavorare con la merda, con fertilizzanti fetidi che però il loro sporco lavoro, a differenza di lui, lo fanno bene, mentre la coppia esternamente ideale, modello da copertina, è solo un involucro che nasconde magagne e le puzze dell’infedeltà se le nasconde dentro.

Si può aver un bel parlare anche di Almodovar all’italiana, di un Parla con lei frullato con Volver in un’estetica sgargiante e multicolore, con una diabolica ristrutturazione dei motivi dello spagnolo: la Murino, anch’ella abusata mentre è incosciente, anche lei rotonda e ancheggiante come una Penelope Cruz ancora più indipendente e moderna, mentre l’omosessualità è qui solo ripiego di contorno (i due figli della Ferrari, sospettati stupratori della prima ora), traccia fuorviante di un Corsicato che rispetto ai Buchi neri e a Libera è meno militante. Si può anche parlare di una in fondo addomesticata polemica con le convenzioni e le istituzioni, concentrata in poche scenette farsesche come quella del negozio di articoli religiosi dove una finta suora irride la concezione senza concorso maschile.

Ma non serve parlare, appunto. Qui basta guardare: come si accennava sopra, i toni fotografici intonati alla pelle e perfino al trucco di Caterina, la trama avvolta e avviluppata con perfidia attorno al suo corpo oscillante, mai pornograficamente esibito, ma spiattellato con provocazione esuberante e chirurgica; perfino il montaggio infatti ce la sbatte in faccia improvvisamente con inquadrature di raccordo in parti “morbide”, o nuda integrale, intenta in dolci abluzioni con uno stacco improvviso senza dissolvenze che ci fa sobbalzare e dimenticare trama, nomi e cognomi. Corsicato voleva forse nascondere la scarsa profondità della propria affabulazione drammaturgica con un tutto tondo inglobante, dove non la forma, bensì le “forme” ed i colori del volto di Caterina hanno un potere fagocitante rispetto a qualsiasi contenuto (e sia con ciò inteso, anche il contenuto equivoco del suo grembo e quello inefficiente del marito).

Forse ha voluto glorificare un corpo da cinema che esordisce qui con la sua prima parte da protagonista di rilievo (rilievo corporeo tridimensionale, prima che attoriale); o forse voleva solo ricordarci che un’operazione in parte parodica, in parte sociologica può porsi come primo e vero obiettivo la scoperta di una nuova attrice e donna in carne ed ossa, sulla quale, scontato ormai il clamore di 007, il nostro cinema può contare senza esitazioni. Se da un lato la mostra ci fa apprezzare la Rohrwacher o la Finocchiaro, che giunoni non sono, Corsicato è qui a dimostrarci che il cinema è anche desiderio (e non solo, kubrickianamente “paura e desiderio”), attrazione (senza montaggio alla Ejzenstejn) di corpi in colori cangianti. Va bene, un film imperfetto, un film non da mostra, un film che abbiamo sentito definire kitsch, ma, per una volta, abbassiamo le difese e abbandoniamo le armi della logica.
Omaggio incondizionato a Caterina la grande e al piccolo Pappi che sa usare il “kynema” come “corpo in movimento”.

Titolo originale: Il seme della discordia
Nazione: Italia
Anno: 2008
Genere: Commedia
Durata: 85′
Regia: Pappi Corsicato

Cast: Alessandro Gassman, Caterina Murino, Michele Venitucci, Isabella Ferrari, Valeria Fabrizi, Martina Stella

Distribuzione: Medusa
Data di uscita: Venezia 2008
05 Settembre 2008 (cinema)
Il cast di “Il seme della discordia” sulla passerella di Venezia 65. Foto a cura d Francesca Vieceli Copyright © NonSoloCinema.com – Francesca Vieceli