La morte è sempre un evento drammatico, ma per la morte di un figlio suicida non esiste consolazione. Anne Godard, giovane (’71) insegnante parigina della Sorbona, esordisce con questo spietato romanzo scritto in seconda persona che racconta, con precisione e crudeltà, la perdita di un figlio.
La protagonista, senza nome, è quasi scrivesse una lettera a se stessa e il “tu” intimo e feroce non lascia margini a pietà e commiserazione, ma entra direttamente nella ferita mettendo a nudo un fatale ingranaggio psicologico di disperazione e ferocia. Questa madre straziata si isola da tutto e tutti, si mura nel proprio lutto e non riesce a trattenere una rabbia silenziosa che la consuma e che rivolge anche verso il marito e i tre figli “colpevoli” di essere ancora vivi. Si trasforma in una cattiva madre, una madre che, schiacciata dal dolore e dal senso di colpa, cannibalizza i proprio figli e li fa fuggire lontano da sé, unico modo che trovano per poter continuare a vivere. L’inconsolabile costruisce il proprio personale santuario e trascorre i giorni venerando ricordi e celebrando anniversari. Non chiede aiuto, non vuole compassione, né perdono.
Chiusa nel gelo del proprio strazio la mater dolorosa da vittima diventa carnefice, vuole punire i figli perché non tollera la loro capacità di consolarsi e dedica la vita a riversare in loro il proprio strazio devastante. Ciò che proprio non riesce a perdonare è l’indifferenza, la capacità di continuare a vivere nonostante tutto, perché non è sempre vero che the show must go on, anzi a volte lo show deve finire e per tutti. La protagonista vuole che i figli siano lacerati e ridotti in briciole come lei e l’unico balsamo al dolore diventa la vendetta: immagina la propria morte lenta e pietrificante e progetta di lasciare ai figli delle lucide lettere-testamento dove li spoglierà e umilierà. “Non vuoi che sopravvivano indenni. Tu li hai fatti, tu puoi disfarli. Tuo figlio si è ucciso senza una parola, tu ti vendicherai del silenzio del morto con le parole che lascerai ai vivi”. Con la propria scomparsa non vuole liberarli ma marchiarli fatalmente, divorarli, renderli prigionieri della verità, condannarli al silenzio, separarli l’uno dall’altro e murare anche loro nella solitudine che la devasta. Solo quel giorno saranno finalmente figli suoi. E allora, a loro volta, rovineranno il mondo che lei avrà abbandonato.
La musica e le note del pianoforte, strumento suonato un tempo dal padre e dal figlio perso, percorrono il romanzo con note forti e drammatiche: lo Stabat Mater di Pergolesi è il brano scelto per il funerale e spesso riascoltato con il volume al massimo per riempire la notte e La tempesta di Beethoven risuona ripetuta ossessivamente dal figlio negli ultimi giorni di vita “con una specie di rabbia che sembrava colargli dalle dita”. La tempesta è un pezzo veloce, nervoso che finisce di colpo, senza il ritorno alla calma, qualcosa che si spezza improvvisamente, come recidere un legame, come tagliare una vena.
La prosa è elegante, fredda e precisa. I pensieri scorrono netti e lucidi, pur nello zigzagare di ricordi a volte sfuocati, a volte sanguinanti. La Godard non vuole commuovere, ma pietrificare e ci riesce. Il lettore si sente ammesso alla vista di un rapporto talmente intimo e inviolabile, che non ha il coraggio di giudicare; si sente spettatore inopportuno della coraggiosa e dignitosa sincerità di una donna che il dolore ha reso di ghiaccio, crudele e inconsolabile. E’ una ferita che non può rimarginarsi e che sanguina ogni giorno, ogni istante della vita e l’unica certezza è che nulla ormai potrà essere peggiore di come è, non c’è nessuna speranza e la vita si concentra unicamente nell’essere fedele all’inconsolabile.
Anne Godard con questo breve romanzo ha conquistato i lettori francesi, che l’hanno scelto come il miglior romanzo del 2006 con il Grand Prix RTL-Lire.
Anne Godard, Inconsolabile, Neri Pozza Editore, 2007, pp.128, € 14.00.