Incontro con Matthew Modine

Il soldato Joker si racconta

Matthew Modine incontra il pubblico fiorentino in una speciale proiezione all’aperto.

Come degna conclusione alla prima stagione del progetto di rivalutazione di una delle sale del centro storico fiorentino, la Mediateca Toscana congeda momentaneamente la programmazione del cinema Odeon trasferendosi all’aperto. La sala, che da qualche mese ormai cerca di accentrare all’interno della sua imponente architettura rococò la cinefilia fiorentina, è chiusa da qualche settimana per la pausa estiva, ma decide comunque di far uscire il cinema dalla porta d’ingresso, trasferendolo nella storica Piazza degli Strozzi. E lì, fra il palazzo rinascimentale mediceo oggi sede di mostre e le moderne vetrine radical chic delle boutique d’alta moda, l’Odeon decide di puntare alto, in ogni senso: sceglie la penultima opera di Stanley Kubrick per portare in alto lo sguardo di quegli spettatori seduti in strada o sui gradoni del Palazzo e fargli rivivere la creazione di Full Metal Jacket attraverso i racconti del suo protagonista, Matthew Modine.

L’attore, ospite speciale invitato dalla New York Film Academy (di cui è uno dei docenti di recitazione), racconta il mestiere dell’attore a una piazza piccola ma molto affollata, fra cinefili con elmetto mimetico, allievi della stessa Film Academy in trasferta estiva e cittadini incuriositi dalla combinazione di luci e immagini. Modine, che adesso a poco più di cinquant’anni, si presenta come un tipico yankee dall’aspetto giovanile, tenuta informale e fare disinvolto, ben diverso dall’aria da secchione umanista del soldato Joker.
Nel lungo incontro coordinato dalla giornalista Manuela Goren, vengono ripercorsi e riesaminati molti segmenti della sua carriera: dalla prima grande prova come protagonista assoluto per Birdy di Alan Parker (dove era un veterano impazzito, convinto di essere un uccello), fino al ruolo collaterale in Le divorce di James Ivory, passando per Robert Altman (con cui ha lavorato sia in Streamers che in Short CutsAmerica Oggi), Jonathan Demme (Una vedova allegra…ma non troppo) e, appunto, Stanley Kubrick.

Di ognuno dei registi ricorda un particolare bizzarro o un aneddoto curioso: a proposito di Alan Parker rammenta l’imbarazzo provato trovandosi spesso nudo di fronte a un uomo che “urlava continuamente e faceva richieste bizzarre”, di Robert Altman elogia il grande lavoro coi vari interpreti e la capacità di sapersi appropriare delle idee dei suoi attori (“Un bravo regista sa prendere i consigli di un attore e trasformarli in visioni personali”), mentre riguardo a un film del 1985 che lo vedeva protagonista (Vision Quest – Crazy for You) ricorda lo stupore di averlo visto diventare improvvisamente “un film di Madonna” da parte della distribuzione italiana, quando la cantante “cantava giusto una o due canzoni nel film, e per giunta somigliava a Boy George!”

L’ultima parte dell’incontro è invece interamente dedicata al Maestro di New York, rispetto al quale i racconti di Modine contribuiscono ad avvalorare l’aura di genio misterioso e perfezionista. Di quell’addestramento militare vero e proprio, blindato attorno ad un Vietnam ricreato fra i sobborghi di Londra e gli studi di Pinewood, l’attore racconta la maturazione e le sopportazioni, gli accessi d’ira e la magistrale lezione di professionalità impartitagli. La produzione, durata più di un anno e mezzo, è stata raccontata da Modine anche attraverso un bel diario fotografico di scatti rubati sul set con una macchina Rolleiflex, un “attrezzo schifoso” a detta di Kubrick.

Ad ascoltare quei racconti e a guardare quelle foto si impara invece molto riguardo il concetto di perfezionismo e l’idea di poderosa messa in scena. Si scoprono dettagli importanti sul ruolo della finzione e della recitazione, che, per un attore come per un regista, si situa anche lì: fra resoconto e impersonificazione, fra reportage e finzione.

Foto a cura di Sandro Beccatini Copyright © NonSoloCinema.com – Sandro Beccatini