Incontro con Renzo Martinelli

Il registra di "Carnera - The walking Mountain"

Renzo Martinelli non dice di no al Vajont. Ne è una prova la corsa in macchina lunga 1100 chilometri da Cannes a Longarone per presentare alla comunità il suo ultimo film Carnera – The walking mountain sulla vita del famoso pugile degli anni Trenta.
Nuovamente Martinelli rende omaggio a questa gente che tanto si è detta rispettata dal regista durante la lavorazione di Vajont, e raggiunge il pubblico in sala dopo la proiezione per un incontro-dibattito su argomenti che variano dal personaggio di Carnera al sempreverde esame sullo stato di salute del cinema italiano.

Domanda: La figlia di Carnera ha rifiutato in passato altri registi che proponevano la storia del padre, ma ha accettato subito Renzo Martinelli. Il film ci riporta ad un Italia che aveva bisogno di miti, e si era appena ripresa dalla crisi del 29.

RM (Renzo Martinelli): Non è solo la storia di un pugile, mi interessava raccontare la storia di un uomo che di mestiere faceva il pugile, ma che credeva fortemente in alcuni valori come la famiglia, orgoglioso di essere italiano e che ha saputo sacrificare se stesso per dare un avvenire ai figli, che grazie ai suoi pugni hanno studiato: il figlio è chirurgo, e la figlia psicologa. Ma soprattutto un uomo che aveva capito che la sconfitta è tale solo se si rimane al tappeto. E Carnera è un uomo che esce con onore dalle sconfitte: la sua storia si può vedere un po’ come una metafora della vita, che spesso ci mette al tappeto, ma il segreto sta trovare un modo per rialzarsi.
Nell’ultimo incontro del film, per dieci volte Carnera va al tappeto, e per dieci volte testardamente si rialza e dice: “io finisco in piedi”. Quando esce dal ring con la mascella fratturata e la caviglia rotta, 85000 spettatori del Madison Square Garden si alzano in piedi per applaudire il suo coraggio; ed è questo il messaggio che ho voluto trasmettere con il mio film: il gusto del sacrificio, del lottare per ottenere qualcosa.

Perché Carnera?

RM: E’ stato un mito della mia infanzia: ero un ragazzino piuttosto magro e mio padre mi diceva: “Se non mangi non diventerai mai come Carnera”. Era un gigante, un simbolo, sono cresciuto con il mito di Carnera, si diceva che sollevava una macchina!

Cosa accomuna Carnera a Vajont?

RM: La capacità di questa gente di dimostrare una grande forza di volontà, la capacità di questa terra di non arrendersi mai, di superare le sconfitte che è quello che invidio e che noi lombardi non abbiamo: ci manca il senso di appartenenza e l’attaccamento alla radice che c’è qua.

Vajont è stato girato nei luoghi dove è avvenuta la tragedia, mentre la location di Carnera è la Romania

RM: Ho girato in Romania per ragioni di costi: è un film con migliaia di comparse e molte costruzioni: non sarebbe stato possibile realizzare un progetto del genere qui con i budget che abbiamo, mentre in Romania il costo del denaro è molto più basso, per cui una comparsa costa 12 euro al giorno contro i nostri cento.
_ Inoltre mi è venuto in aiuto il digitale, con cui ho completamente rifatto il film, ho ricreato 1500 inquadrature, per cui il film sembra girato in Italia, in Francia, gli incontri di pugilato sono in gran parte virtuali e tutto il pubblico è formato da duecento comparse che spostavo, ma sembra una folla vera: è il miracolo del digitale!

Il prossimo progetto?

RM: I miei concittadini mi rimproverano spesso di trascurare i lombardi, in realtà la vostra terra è molto ricca di spunti per il cinema perché terra di confine. Per cui farò un film sul Barbarossa e la battaglia di Legnano: siamo nel 1200, l’imperatore tedesco opprime la gente, finalmente i comuni di Milano e Lodi trovano la forza di unirsi e conquistano insieme la loro libertà: è un fatto storico straordinario, e il film è molto impegnativo, abbiamo cavalli, comparse…

Come si è preparato Andrea Iaia al ruolo di Carnera ?

RM: Due anni fa, alla palestra ‘Audace’ di Roma abbiamo cominciato al casting. La richiesta che ho fatto è stata: trovare un ragazzo alto almeno due metri, che sapesse parlare inglese, boxare e recitare…quattro caratteristiche difficilmente riconducibili ad una sola persona. Con l’aiuto di Nino Benvenuti (che fa anche una piccola parte del film: l’allenatore dell’avversario nell’ultimo incontro) abbiamo visto qualche centinaio di persone, ma per nostra fortuna ci siamo imbattuti in questo ragazzo di Ostuni, che aveva fatto qualche anno di teatro a Londra ed era pugile semi professionista. Benvenuti mi disse: “Prendilo subito perché un ragazzo così non capiterà più!”.

Qual è lo stato attuale del cinema italiano?

RM: E’ asfittico, è un cinema moribondo che vive perché lo stato finanzia i film, da anni cerco di fare capire ai miei amici politici che l’unica strada per fare uscire il cinema italiano da questa sacca dell’assistenzialismo di stato è applicare un sistema di detassazione: proporre ad un imprenditore di investire in un film risorse che possano essere detratte dalle tasse: questo costringerebbe i registi a pensare a dei film che possano andare sul mercato, visto che attualmente non sono preoccupati del mercato e del ritorno di un’opera, ma di raccontare la loro visione del mondo: ecco perché nascono film noiosi, lenti, poco fruibili dal mercato.
Sono meccanismi che porterebbero il cinema italiano da cinema assistito a cinema paragonabile a quello di paesi come Canada e Stati Uniti.


Come state vendendo Carnera all’estero?

RM: Carnera lo stiamo vendendo bene, dovunque c’è stata l’emigrazione Italiana, Carnera piace: Argentina, America, Canada, Australia, e questo è il motivo per cui è stato girato in inglese, per poterlo distribuire all’estero, oltre ovviamente a rispettare un certo stile di ripresa ed un soggetto internazionale.

Rispetta la reltà l’abbraccio tra Carnera e Max Baer?

RM: Il pugilato molto spesso è stato demonizzato, ma ho scoperto che è uno sport molto nobile, e se è vero che c’è una grande violenza sul ring, c’è molto rispetto per l’avversario.
Molte cose mi sono state raccontate da Giovanna Carnera, o le ho lette direttamente nelle lettere tra Carnera e la moglie, che la figlia mi aveva messo a disposizione.